Luglio e agosto: le radici storiche dei mesi con 31 giorni

Se vi siete mai chiesti perché i mesi dell’anno hanno una durata diversa, e in particolare perché luglio e agosto hanno entrambi 31 giorni, la risposta non è di natura astronomica, ma storica e religiosa. Infatti, la divisione dei mesi in 30 o 31 giorni non dipende dal ciclo lunare o dal moto della Terra attorno al Sole, ma dalle decisioni prese da alcuni imperatori romani e dai loro successori.

Il calendario che usiamo oggi è il calendario gregoriano, introdotto nel 1582 da papa Gregorio XIII per correggere alcuni errori del precedente calendario giuliano, ideato da Giulio Cesare nel 46 a.C. con l’aiuto dell’astronomo egizio Sosigene di Alessandria. Il calendario giuliano era basato sul ciclo solare, cioè sul tempo che la Terra impiega per compiere un giro attorno al Sole, che è di circa 365 giorni e 6 ore. Per arrotondare questo numero, si stabilì che ogni quattro anni ci sarebbe stato un anno bisestile con un giorno in più, il 29 febbraio.

Tuttavia, il calendario giuliano non era ancora perfetto, perché il ciclo solare non è esattamente di 365 giorni e 6 ore, ma di circa 11 minuti in meno. Questo significa che ogni anno il calendario si sfasava di circa un quarto di giorno rispetto al moto reale della Terra. Nel corso dei secoli, questa differenza si accumulò fino a creare uno scarto di circa 10 giorni tra il calendario e le stagioni. Per questo motivo, papa Gregorio XIII decise di riformare il calendario introducendo una nuova regola: gli anni secolari (cioè quelli divisibili per 100) sarebbero stati bisestili solo se divisibili anche per 400. In questo modo, si eliminavano tre giorni bisestili ogni quattro secoli, riducendo lo scarto tra il calendario e il ciclo solare.

Ma torniamo ai mesi di luglio e agosto. Perché hanno entrambi 31 giorni? La spiegazione risale all’epoca romana, quando i mesi avevano nomi diversi da quelli attuali e non erano tutti uguali. Il primo mese dell’anno era marzo, dedicato al dio della guerra Marte, e aveva 31 giorni. Seguivano aprile (29 giorni), maggio (31 giorni), giugno (29 giorni), quintile (31 giorni), sestile (29 giorni), settembre (29 giorni), ottobre (31 giorni), novembre (29 giorni) e dicembre (29 giorni). I mesi erano quindi dieci e l’anno durava solo 304 giorni. I restanti 61 giorni invernali non erano considerati parte dell’anno.

Nel 713 a.C., il re Numa Pompilio aggiunse due mesi all’inizio dell’anno: gennaio (29 giorni) e febbraio (28 giorni). In questo modo, l’anno divenne di 355 giorni e i mesi erano dodici. Tuttavia, per mantenere l’allineamento con le stagioni, ogni due anni si aggiungeva un mese intercalare di 22 o 23 giorni dopo febbraio. Questo sistema era molto complicato e soggetto a errori.

Nel 46 a.C., Giulio Cesare riformò il calendario introducendo il ciclo solare e abolendo il mese intercalare. Per farlo, dovette allungare alcuni mesi per raggiungere i 365 giorni necessari. In particolare, il mese di quintile fu portato a 31 giorni e rinominato luglio in suo onore. Anche febbraio fu portato a 29 giorni negli anni normali e a 30 negli anni bisestili.

Nel 8 a.C., l’imperatore Augusto riformò nuovamente il calendario per correggere alcuni errori nella distribuzione degli anni bisestili. Inoltre, decise di cambiare il nome del mese di sestile in agosto, in sua memoria. Tuttavia, si dice che fosse infastidito dal fatto che il mese di Cesare avesse più giorni del suo, e quindi decise di portare agosto a 31 giorni, togliendo un giorno a febbraio, che tornò a 28 giorni negli anni normali e a 29 negli anni bisestili. Per evitare che ci fossero tre mesi consecutivi da 31 giorni, Augusto spostò anche un giorno da settembre e novembre a ottobre e dicembre, creando la sequenza alternata di 30 e 31 giorni che conosciamo oggi.

Questo è il motivo per cui luglio e agosto hanno entrambi 31 giorni: per onorare due grandi imperatori romani che hanno lasciato il loro segno nella storia e nel calendario.

Foto: Pavel Danilyuk

Perché in estate fa caldo?

Perchè in estate fa caldo? Potrebbe sembrare una domanda banale, ma in realtà nasconde dei fenomeni interessanti che riguardano il nostro pianeta e il suo rapporto con il Sole.

Innanzitutto, bisogna sapere che la Terra non è sempre alla stessa distanza dal Sole durante il suo moto di rivoluzione intorno a esso. La Terra, infatti, ha un’orbita ellittica, cioè leggermente schiacciata ai poli e allungata all’equatore. Questo significa che in alcuni momenti dell’anno la Terra si avvicina di più al Sole, mentre in altri se ne allontana. Questa variazione di distanza si chiama anomalia orbitale e ha un effetto sul clima, ma non è il fattore principale che determina le stagioni.

Il fattore principale è invece l’inclinazione dell’asse terrestre rispetto al piano dell’orbita. L’asse terrestre è una linea immaginaria che passa per i poli e che indica la direzione verso cui la Terra ruota su se stessa. Questo asse non è perpendicolare al piano dell’orbita, ma forma con esso un angolo di circa 23,5 gradi. Questo angolo si chiama obliquità ed è responsabile delle stagioni.

Per capire come funziona, immaginate di osservare la Terra dallo spazio mentre compie il suo giro intorno al Sole. Vedrete che in alcuni momenti dell’anno l’emisfero nord è inclinato verso il Sole, mentre in altri è l’emisfero sud. Questo significa che in estate l’emisfero che riceve più luce e calore dal Sole è quello inclinato verso di esso, mentre in inverno è quello opposto. Inoltre, l’inclinazione dell’asse terrestre fa sì che i raggi solari colpiscano la superficie terrestre con angoli diversi a seconda della latitudine. Più si va verso i poli, più i raggi solari sono obliqui e meno intensi. Più si va verso l’equatore, più i raggi solari sono perpendicolari e più forti.

Quindi, per rispondere alla domanda iniziale, in estate fa caldo perché l’emisfero in cui ci troviamo è inclinato verso il Sole e riceve più luce e calore da esso. Inoltre, a seconda della nostra posizione geografica, i raggi solari possono essere più o meno intensi. Ovviamente, ci sono anche altri fattori che influenzano il clima, come le correnti marine e aeree, la presenza di montagne o deserti, l’effetto serra e così via. Ma questi sono argomenti per un altro articolo. Spero di avervi chiarito un po’ le idee e vi invito a continuare a seguirmi sul mio blog. Ciao ciao!

Foto: Andrea Piacquadio

Perchè i gatti odiano l’acqua?

I gatti sono animali affascinanti e misteriosi, che spesso suscitano curiosità e domande tra gli appassionati e i proprietari. Una di queste domande riguarda il loro rapporto con l’acqua: perché ai gatti non piace l’acqua? È davvero così o si tratta di un mito?

In questo articolo cercherò di rispondere a questa domanda, analizzando le possibili cause e le eccezioni di questo comportamento felino.

Perché ai gatti non piace l’acqua?

Non esiste una risposta univoca a questa domanda, ma piuttosto una serie di fattori che possono influenzare la reazione dei gatti all’acqua. Vediamoli insieme:

  • L’origine: molti gatti domestici discendono da specie che vivevano in ambienti aridi o desertici, dove l’acqua era scarsa e pericolosa. Questo ha fatto sì che i loro antenati sviluppassero una naturale diffidenza verso l’acqua, che si è tramandata fino ai nostri giorni.
  • L’istinto: i gatti sono predatori e hanno bisogno di essere sempre pronti a cacciare o a difendersi. L’acqua bagna il loro pelo, rendendoli più pesanti e meno agili, e anche più vulnerabili agli attacchi dei nemici. Inoltre, l’acqua altera il loro odore, che è fondamentale per il loro riconoscimento e la loro comunicazione.
  • La temperatura: i gatti sono animali termofili, ovvero amano il calore e non sopportano il freddo. L’acqua, soprattutto se fredda, abbassa la loro temperatura corporea e li fa sentire a disagio. Per questo motivo, i gatti preferiscono bere acqua tiepida o a temperatura ambiente.
  • La sensibilità: i gatti hanno un udito molto sviluppato e sono sensibili ai rumori forti e improvvisi. L’acqua che scorre dal rubinetto o dalla doccia può essere percepita come una minaccia o una fonte di stress. Inoltre, i gatti hanno dei recettori tattili molto sensibili sulle zampette, che li aiutano a percepire le vibrazioni del terreno. L’acqua li priva di questa informazione e li fa sentire insicuri.

Ci sono eccezioni?

Non tutti i gatti odiano l’acqua allo stesso modo. Alcuni possono tollerarla meglio di altri, a seconda della loro personalità, delle loro esperienze e della loro razza.

Ad esempio, ci sono alcune razze di gatti che amano l’acqua e che sono abituate a nuotare o a giocare con essa. Tra queste ci sono il Maine Coon, il Norvegese delle Foreste, il Bengala, il Turkish Van e il Savannah.

Anche i gatti che vivono in ambienti umidi o vicino all’acqua possono sviluppare una maggiore affinità con essa, come i gatti delle isole o dei porti.

Inoltre, alcuni gatti possono essere abituati fin da piccoli a entrare in contatto con l’acqua, ad esempio per motivi igienici o terapeutici. In questo caso, è importante che l’esperienza sia positiva e graduale, senza forzare o stressare il gatto.

Come fare se il nostro gatto non ama l’acqua?

Se il nostro gatto non ama l’acqua, dobbiamo rispettare la sua natura e le sue preferenze, senza costringerlo o punirlo. Ci sono alcuni accorgimenti che possiamo adottare per rendere la sua vita più facile e piacevole:

  • Fornire sempre acqua fresca e pulita in diverse ciotole sparse per la casa, possibilmente in luoghi tranquilli e lontani dal cibo.
  • Stimolare il suo interesse per l’acqua con fontanelle o giochi interattivi che ne spruzzino delle gocce.
  • Evitare di bagnare il gatto se non è strettamente necessario, ad esempio per motivi di salute o di pulizia. In questo caso, usare acqua tiepida, un getto delicato e una spugna morbida, e asciugare bene il gatto con un asciugamano o un phon a bassa temperatura.
  • Premiare il gatto con coccole e leccornie dopo averlo bagnato, per creare un’associazione positiva.

Spero che questo articolo ti sia stato utile e interessante. Grazie per aver letto il mio articolo.