30 anni fa usciva il terzo e ultimo album dei Nirvana “In Utero”

Il 21 settembre 1993, esattamente trent’anni fa, usciva In Utero, il terzo e ultimo album in studio dei Nirvana. Il disco, prodotto da Steve Albini, segnava una svolta nella carriera della band, abbandonando il sound grunge di Nevermind (1991) per un’atmosfera più cupa e sperimentale.

Il contesto

Il successo di Nevermind fu travolgente. L’album, che aveva saputo coniugare il grunge con la melodia, aveva portato i Nirvana al successo mondiale, consacrandoli come una delle band più importanti del rock. Tuttavia, il successo aveva anche avuto un prezzo. Cobain, in particolare, si sentiva sempre più oppresso dalla fama e dalla pressione mediatica.

La registrazione

La registrazione di In Utero fu un processo difficile e tormentato. Cobain era intenzionato a realizzare un album che fosse il più autentico possibile, lontano dal suono patinato di Nevermind. Per questo motivo, scelse di lavorare con Albini, un produttore noto per il suo approccio lo-fi.

La registrazione si svolse in soli sei giorni, nel febbraio 1993, al Pachyderm Studio di Cannon Falls, Minnesota. Cobain era insoddisfatto del risultato finale e chiese a Albini di remixare alcune tracce. Tuttavia, il produttore si rifiutò, sostenendo che il disco fosse già perfetto così com’era.

Il disco

In Utero è un album complesso e stratificato. Le canzoni esplorano temi come la depressione, la solitudine e la morte. Il sound è più cupo e abrasivo rispetto a Nevermind, con un uso massiccio di distorsione e feedback.

Scentless Apprentice introduce l’atmosfera cupa e angosciante dell’album. Heart-Shaped Box è una ballata malinconica, in cui Cobain canta del suo amore per Courtney Love. Rape Me è una canzone furiosa e rabbiosa, in cui Cobain denuncia la violenza sessuale.

Dumb è una canzone ironica e autoironica, in cui Cobain si prende in giro per la sua incapacità di comunicare. All Apologies è una ballata delicata e commovente, in cui Cobain chiede perdono per i suoi errori.

Il successo

In Utero fu un successo commerciale e di critica. L’album debuttò al primo posto della classifica Billboard 200, vendendo oltre 3 milioni di copie negli Stati Uniti. Il disco fu acclamato dalla critica, che lo definì un capolavoro del grunge.

L’eredità

In Utero è considerato uno dei dischi più importanti del rock degli anni ’90. Il disco ha avuto un impatto profondo sulla scena musicale, influenzando un’intera generazione di artisti.

In ricordo di Kurt Cobain

In Utero è anche l’ultimo album in studio di Kurt Cobain. Il cantante si suicidò il 5 aprile 1994, a soli 27 anni. In Utero è quindi un disco che assume un valore ancora più simbolico, come testamento artistico di uno dei più grandi musicisti della storia.

Conclusione

In Utero è un album complesso e affascinante, che ha segnato un punto di svolta nella carriera dei Nirvana e nella storia del rock. Il disco è un’opera matura e introspettiva, che esplora temi universali come la sofferenza, la solitudine e la ricerca di un senso. In Utero è un disco che ha resistito alla prova del tempo e che continua a ispirare e a commuovere i fan di tutto il mondo.

Yann LeCun uno dei pionieri delle reti neurali profonde parla di I-Jepa una nuova tecnologia basata sull’intelligenza artificiale

di Sergio Amodei

i-jepa ovvero Image Joint for Embedding Predictive Architecture è una nuova tecnologia che promette di rivoluzionare il campo dell’Intelligenza Artificiale. Si tratta di un sistema che sfrutta le immagini per creare modelli predittivi di alta qualità, capaci di apprendere da soli e di adattarsi a scenari complessi e dinamici. Il suo ideatore è Yann LeCun, uno dei massimi esperti mondiali di IA e reti neurali.

Cos’è i-jepa e come funziona
Il principio alla base di i-jepa è semplice ma geniale: usare le immagini come fonte di informazione per costruire rappresentazioni astratte e semantiche del mondo. Le immagini, infatti, contengono una grande quantità di dati, che possono essere elaborati da algoritmi sofisticati per estrarre le caratteristiche salienti degli oggetti, delle scene e delle relazioni che vi sono rappresentate. Queste caratteristiche possono poi essere usate per creare dei modelli predittivi, che siano in grado di anticipare gli eventi futuri, di generare nuove immagini o di risolvere problemi complessi.

Per fare questo, i-jepa si basa su due componenti principali: un encoder e un decoder. L’encoder è una rete neurale convoluzionale, che prende in input un’immagine e la trasforma in un vettore di numeri, chiamato codice latente. Questo vettore rappresenta la sintesi delle informazioni contenute nell’immagine, ed è in grado di catturare le proprietà invarianti e generalizzabili degli elementi visivi. Il decoder è una rete neurale generativa, che prende in input il codice latente e lo trasforma in un’immagine di output, che può essere uguale o diversa da quella di input, a seconda dell’obiettivo da raggiungere.

Il punto di forza di i-jepa è che l’encoder e il decoder sono collegati da una rete neurale ricorrente, che permette al sistema di apprendere da sé le relazioni temporali tra le immagini. In questo modo, il sistema può creare dei modelli dinamici, che tengano conto della storia passata e delle possibili evoluzioni future delle situazioni rappresentate. Questo rende i-jepa molto potente e versatile, in quanto può essere applicato a diversi domini e compiti, come la previsione del traffico, la generazione di scenari virtuali, la diagnosi medica o la creazione artistica.

Le origini e le prospettive di i-jepa
L’idea di usare le immagini per creare modelli predittivi non è nuova, ma è stata portata a un livello superiore da Yann LeCun, che ne ha parlato recentemente in un’intervista rilasciata a Siena, dove ha ricevuto la laurea honoris causa dall’Università. LeCun è uno dei padri dell’Intelligenza Artificiale moderna, nonché uno dei vincitori del premio Turing 2018, insieme a Geoffrey Hinton e Joshua Benjo. I tre scienziati sono considerati i pionieri delle reti neurali profonde, quelle che hanno permesso all’IA di compiere passi da gigante negli ultimi anni.

LeCun ha dedicato gran parte della sua carriera allo studio delle reti neurali convoluzionali, che sono state ispirate dal funzionamento della corteccia visiva del cervello umano. Queste reti sono state usate con successo per il riconoscimento delle immagini, ma anche per altri compiti come il riconoscimento vocale, la traduzione automatica o il gioco degli scacchi. Tuttavia, LeCun ha sempre avuto l’ambizione di andare oltre la semplice classificazione o identificazione degli oggetti visivi, e di creare dei sistemi capaci di comprendere il significato profondo delle immagini e di usarlo per fare previsioni intelligenti.

Questo è il motivo che lo ha spinto a sviluppare i-jepa, che rappresenta il frutto della sua visione dell’Intelligenza Artificiale come una scienza della previsione. Per LeCun, infatti, l’IA non è solo una tecnica per manipolare i dati, ma una disciplina che mira a creare delle macchine che possano imitare il processo cognitivo degli esseri umani, basato sulla capacità di anticipare gli eventi e di adattarsi all’ambiente. In questo senso, i-jepa è un passo avanti verso la realizzazione di un’IA forte, quella che possa raggiungere o superare il livello di intelligenza umana.

Tuttavia, LeCun è anche consapevole dei rischi e delle sfide che comporta l’uso dell’IA, soprattutto in ambiti sensibili come la sicurezza, la privacy o l’etica. Per questo, egli sostiene la necessità di una regolamentazione e di una supervisione umana dell’IA, nonché di una formazione adeguata dei giovani e dei professionisti che si occupano di questa materia. Inoltre, egli invita a non cadere nella trappola di considerare l’IA come una minaccia o una concorrenza per l’uomo, ma come uno strumento per ampliare le sue potenzialità e per migliorare la sua qualità di vita.

Foto: Jeremy Barande

Equinozio d’autunno 2023: perché quest’anno cade il 23 settembre e cosa significa per la natura e per noi

di Sergio Amodei

L’autunno è una stagione magica, ricca di colori, profumi e sensazioni. Ma quando inizia esattamente? E perché cambia ogni anno la data del suo inizio? In questo articolo cercheremo di rispondere a queste domande, spiegando il fenomeno dell’equinozio d’autunno e il suo significato per la natura e per noi.

Cos’è l’equinozio d’autunno

L’equinozio d’autunno è il momento in cui il Sole si trova esattamente sopra l’equatore terrestre, cioè la linea immaginaria che divide il pianeta in due emisferi: quello settentrionale e quello meridionale. In questo istante, il giorno e la notte hanno la stessa durata in tutto il mondo, circa 12 ore ciascuno. Il termine equinozio deriva dal latino aequinoctium, che significa “notte uguale”.

L’equinozio d’autunno segna l’inizio della stagione autunnale nell’emisfero settentrionale, dove viviamo noi, e l’inizio della stagione primaverile nell’emisfero meridionale. Al contrario, l’equinozio di primavera, che cade a marzo, segna l’inizio della primavera nel nostro emisfero e dell’autunno in quello opposto.

Quando cade l’equinozio d’autunno

L’equinozio d’autunno non ha una data fissa nel calendario, ma varia di anno in anno tra il 21 e il 24 settembre. Questo dipende dal fatto che l’anno solare, cioè il tempo che la Terra impiega a fare un giro completo intorno al Sole, non coincide esattamente con l’anno civile, cioè quello che usiamo noi per misurare il tempo. L’anno solare dura infatti circa 365 giorni e 6 ore, mentre l’anno civile ha 365 giorni nei normali anni e 366 giorni negli anni bisestili. Questa differenza fa sì che le stagioni si spostino leggermente di anno in anno.

Quest’anno, l’equinozio d’autunno cadrà sabato 23 settembre alle ore 8:49 in Italia. Questo significa che da quel momento in poi le giornate si accorceranno sempre di più fino al solstizio d’inverno, che segnerà il giorno più corto dell’anno.

Cosa significa l’equinozio d’autunno per la natura e per noi

L’equinozio d’autunno è un momento importante per la natura, perché segna il passaggio da una stagione calda e luminosa a una stagione fresca e buia. Le piante si preparano al riposo invernale, perdendo le foglie e i fiori e accumulando le sostanze nutritive nelle radici. Gli animali si adattano al cambiamento climatico, migrando verso zone più calde o entrando in letargo. Anche noi umani sentiamo gli effetti dell’equinozio d’autunno sul nostro umore e sul nostro organismo. Alcune persone possono soffrire di malinconia o di depressione stagionale, causata dalla riduzione della luce solare e dalla caduta dei livelli di serotonina, l’ormone del buonumore. Altre persone invece possono apprezzare la bellezza dell’autunno, i suoi colori caldi, i suoi frutti abbondanti, le sue feste tradizionali.

L’equinozio d’autunno è anche un momento simbolico per molte culture e religioni, che lo celebrano con riti e cerimonie legati al ciclo della vita e della morte, al ringraziamento per i raccolti, alla preparazione per il nuovo anno. Per esempio, nella tradizione celtica si festeggia Mabon, il dio della vegetazione e dei raccolti; nella tradizione greca si ricorda il mito di Persefone, la dea che trascorre sei mesi negli inferi e sei mesi sulla terra; nella tradizione ebraica si celebra Rosh Hashanah, il capodanno ebraico; nella tradizione cinese si osserva la Festa della Luna.

L’equinozio d’autunno è quindi un’occasione per riflettere sul nostro rapporto con la natura, con il tempo e con noi stessi, e per accogliere con serenità e curiosità la nuova stagione che ci aspetta.

Foto: Sergio Amodei