Sleep e “Dopesmoker”: la canzone più lunga del Rock

di Sergio Amodei

Tra le varie leggende che popolano il mondo del rock e del metal, una delle più affascinanti è quella legata agli Sleep e alla loro imponente opera: “Dopesmoker”. Con i suoi oltre 63 minuti di durata in un’unica traccia, Dopesmoker è più di una canzone: è un’esperienza sonora monumentale che ha ridefinito i confini del doom metal e, più in generale, della musica pesante. Considerata la “canzone più lunga del rock metal”, questo mastodonte sonoro si erge come una pietra miliare nella storia della musica underground, trascendendo il semplice concetto di brano musicale per diventare un vero e proprio rito collettivo.

Il genio degli Sleep e la creazione di Dopesmoker

Gli Sleep, formati da Al Cisneros (voce e basso), Matt Pike (chitarra) e Chris Hakius (batteria), sono emersi nella scena metal dei primi anni ’90 con un sound che combinava il peso del doom metal dei Black Sabbath con la lentezza ipnotica dello stoner rock. Tuttavia, la band non si è mai accontentata di rimanere nei confini tradizionali del genere. Il loro obiettivo era spingere l’esperienza sonora oltre ogni limite conosciuto, esplorando il concetto di ripetizione e trance attraverso il riff.

Dopo aver guadagnato popolarità con il loro album “Sleep’s Holy Mountain” nel 1992, gli Sleep iniziarono a lavorare a qualcosa di completamente nuovo e ambizioso: un’opera che avrebbe condensato tutto il loro stile in un’unica, lunghissima composizione. Quel progetto, originariamente intitolato “Jerusalem”, divenne poi Dopesmoker. Il brano è una sinfonia di pesantezza e spiritualità che si sviluppa come un mantra musicale, incentrato su un unico, poderoso riff che viene reiterato per gran parte della durata del pezzo.

Dopesmoker: un viaggio musicale e spirituale

Dopesmoker non è una canzone facile da ascoltare. È una sfida, un viaggio mistico attraverso deserti sonori infiniti, in cui l’ascoltatore viene avvolto in strati di chitarre ultra distorte, linee di basso profonde e una batteria che scandisce il tempo come un battito cardiaco rallentato. La voce di Al Cisneros, lontana e incantatoria, guida l’ascoltatore attraverso un pellegrinaggio narrativo che mescola immagini bibliche, visioni psichedeliche e una cultura stoner permeata dal fumo di marijuana.

Il testo stesso è enigmatico: racconta la storia di un gruppo di nomadi che attraversano un deserto sconfinato, alimentati da un fervore spirituale e dalla “erba sacra”. Il brano diventa una sorta di epopea moderna, dove la ripetizione dei riff assume una qualità rituale, quasi meditativa. È come se la musica stessa invitasse chi ascolta a lasciarsi andare, a perdersi nel flusso sonoro per riscoprire una connessione più profonda con sé stessi e con l’universo.

L’Odissea della pubblicazione

Nonostante la visione chiara della band, Dopesmoker non fu facile da realizzare, né tantomeno da pubblicare. Nel 1996, gli Sleep si erano assicurati un contratto con la major London Records, che inizialmente accolse con entusiasmo la nuova opera. Tuttavia, una volta consegnato l’album, la label fu completamente disorientata: come poteva essere commercialmente sostenibile un album composto da un’unica traccia di oltre un’ora? La casa discografica si rifiutò di pubblicarlo, chiedendo alla band di tagliare e ridurre il pezzo per renderlo più accessibile.

Gli Sleep, fermi nella loro visione artistica, si rifiutarono categoricamente, causando un lungo stallo con l’etichetta. Questo conflitto portò infine alla separazione del gruppo, che si sciolse nel 1998 senza che Dopesmoker vedesse la luce ufficialmente. L’album venne pubblicato solo anni dopo, nel 2003, grazie all’etichetta Tee Pee Records, e fu immediatamente riconosciuto come un classico. Dopesmoker non era solo una sfida ai confini commerciali della musica, ma una dimostrazione di integrità artistica e di fede nella propria visione.

La potenza della ripetizione

Uno degli aspetti più straordinari di Dopesmoker è la sua capacità di mantenere l’attenzione nonostante la sua lunghezza e la sua apparente semplicità. Il brano si sviluppa principalmente attorno a un riff centrale che si ripete quasi ossessivamente, ma con leggere variazioni che gli conferiscono una qualità ipnotica. Questa ripetizione non è monotona: diventa piuttosto una forma di meditazione, in cui l’ascoltatore si immerge nel ritmo e nella tonalità, fino a raggiungere una sorta di trance musicale.

Matt Pike, chitarrista della band, descrisse il riff principale come un mantra che si ripete per trasportare l’ascoltatore in uno stato mentale alterato, quasi mistico. Questa è una delle caratteristiche chiave che ha reso Dopesmoker una pietra miliare del doom metal e dello stoner rock: la capacità di creare un’esperienza trascendentale attraverso la semplicità e la ripetizione.

Un’eredità imponente

L’importanza di Dopesmoker non risiede solo nella sua lunghezza, ma nel modo in cui sfida le convenzioni musicali. Dove molte band cercano la complessità tecnica o la velocità per impressionare l’ascoltatore, gli Sleep abbracciano la lentezza, la profondità e la ripetizione come strumenti per costruire un universo sonoro unico.

Con il tempo, Dopesmoker è diventato un riferimento culturale, non solo per gli appassionati di doom e stoner metal, ma anche per artisti di generi diversi che ammirano l’ambizione e il coraggio della band. L’opera incarna un principio fondamentale del rock sperimentale: la libertà di esplorare territori musicali che sfuggono alle logiche di mercato, puntando invece a creare qualcosa di veramente unico e significativo.

Oggi, Dopesmoker rimane uno degli album più rispettati e studiati nella scena metal, un monolito sonoro che sfida l’ascoltatore a mettersi comodo, a respirare profondamente e a immergersi nel suo mondo lento, pesante e mistico.

In un mondo musicale che privilegia la velocità e la gratificazione immediata, Dopesmoker è un promemoria potente del potere della pazienza e della dedizione.

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