È più liberatorio credere nel destino o pensare che tutto dipenda solo da noi?

di Sergio Amodei

C’è un momento, nella vita di ciascuno di noi, in cui ci fermiamo a guardarci indietro e ci chiediamo: “Era tutto scritto oppure sono stato io a decidere ogni passo?” Forse davanti a un amore che sembrava inevitabile, a un incontro che ha cambiato tutto, o a un fallimento che ha aperto nuove porte. Da una parte c’è il fascino del destino, quell’idea che esista un filo invisibile che intreccia eventi, scelte, coincidenze e persone. Dall’altra, la vertigine della libertà assoluta: nulla è scritto, ogni cosa dipende da noi, e il futuro è una pagina bianca che attende solo il nostro inchiostro.

Ma tra queste due visioni opposte — “tutto è già deciso” e “tutto dipende solo da me” — quale è davvero più liberatoria? Per rispondere, dobbiamo scavare nella psicologia, nella filosofia e perfino nei meccanismi del nostro cervello.


Il fascino del destino: quando il caos ha un significato

Credere nel destino è, prima di tutto, un atto di fiducia. Significa immaginare che la nostra vita non sia una serie di eventi casuali, ma un percorso con un senso, anche quando non riusciamo a vederlo.
Quando diciamo “era destino” dopo un incontro speciale o una svolta inattesa, in realtà stiamo facendo qualcosa di profondamente umano: stiamo cercando di dare ordine al caos.

La psicologia evolutiva ci insegna che il nostro cervello è programmato per cercare schemi. Nei millenni in cui i nostri antenati vivevano in ambienti pieni di pericoli, riconoscere connessioni (anche quando non c’erano) era un vantaggio per la sopravvivenza. Oggi, questo stesso meccanismo ci porta a vedere “segnali” in coincidenze e sincronicità: il numero che si ripete, il messaggio ricevuto al momento giusto, l’incontro che arriva quando avevamo perso ogni speranza.

Il destino, in questo senso, è un balsamo per l’ansia. Ci libera dal peso dell’incertezza. Se qualcosa — Dio, l’universo, un disegno cosmico — guida i nostri passi, allora non dobbiamo controllare tutto. Possiamo respirare, accettare, lasciar andare. È rassicurante pensare che un fallimento, una perdita o una sofferenza abbiano una ragione nascosta, anche se al momento non la comprendiamo.


La trappola del destino: quando la libertà diventa un’illusione

Ma questa consolazione ha un prezzo. Se crediamo troppo nel destino, rischiamo di trasformare la vita in un copione già scritto.
Quante volte sentiamo frasi come “se deve succedere, succederà” o “era scritto che andasse così”? Queste parole possono diventare una scusa per restare fermi, per non rischiare, per non assumersi responsabilità.

Il filosofo Jean-Paul Sartre parlava di “mala fede”: quell’atteggiamento con cui l’essere umano rinuncia alla propria libertà per paura del peso che essa comporta. Dire che “era destino” significa, in fondo, evitare il dolore di scegliere e di sbagliare. È una fuga dalla libertà.

Dal punto di vista psicologico, questo atteggiamento può portare a una sensazione di impotenza appresa. Se crediamo che tutto sia già deciso, perché impegnarci per cambiare? Perché lottare per un amore, un lavoro, un sogno? La vita diventa un fiume che scorre, e noi semplici spettatori.


L’ebbrezza (e il peso) della libertà totale

All’estremo opposto c’è la filosofia dell’autodeterminazione. Niente destino, niente copioni: siamo noi, con le nostre scelte, a scrivere ogni capitolo della nostra vita.
Questa visione è affascinante perché ci restituisce un potere immenso. Significa che non siamo condannati dalla nascita, che il passato non è una catena, che possiamo reinventarci in ogni momento.

La psicologia motivazionale lo conferma: le persone che percepiscono di avere un forte locus of control interno — cioè la convinzione che i risultati dipendano dalle proprie azioni — tendono a essere più resilienti, più attive e più soddisfatte della loro vita.
Sapere che ogni scelta conta ci spinge a crescere, a imparare, a rischiare. Ci fa sentire protagonisti e non comparse.

Ma questa libertà assoluta non è priva di insidie. Se tutto dipende solo da noi, ogni fallimento diventa una colpa. Ogni errore pesa come una condanna. La società contemporanea, con la sua ossessione per la performance, alimenta questa pressione: “Se non hai successo, è perché non ti impegni abbastanza”.
Il risultato? Ansia, burnout, senso di inadeguatezza. In un mondo dove siamo teoricamente liberi di diventare “chiunque”, il rischio è sentirci costantemente in difetto.


Il cervello ama le storie, non gli assoluti

La verità, come spesso accade, potrebbe stare nel mezzo.
Il nostro cervello non ragiona bene in termini di assoluti: destino contro libertà, bianco contro nero. Ama invece le storie complesse, dove l’imprevisto convive con la scelta, dove il caso si intreccia con l’intenzione.

Pensiamo a quante decisioni prendiamo ogni giorno: molte sono frutto della nostra volontà, ma altre nascono da fattori fuori dal nostro controllo — la famiglia in cui siamo nati, le circostanze storiche, perfino il meteo di quel giorno. Ignorare l’influenza del caso è ingenuo; credere che tutto sia scritto è altrettanto limitante.

La filosofia di Spinoza ci offre una chiave interessante: per il pensatore olandese, libertà non significa “fare ciò che voglio”, ma comprendere le cause che mi muovono. Più conosciamo noi stessi, più diventiamo liberi, anche se non possiamo controllare ogni evento esterno.
In altre parole, la vera liberazione non sta nel credere solo nel destino o solo nella responsabilità, ma nel riconoscere che viviamo in un intreccio di entrambi.


Psicologia del sollievo: perché alterniamo le due credenze

Uno degli aspetti più affascinanti è che non restiamo sempre fedeli a una sola visione. Spesso alterniamo, quasi senza accorgercene.
Quando la vita ci sorride, tendiamo a credere nella nostra capacità di scelta: “Me lo sono meritato, ho lavorato per questo”. Quando arrivano dolore e imprevisti, ci rifugiamo nel destino: “Doveva andare così”.
È una strategia di regolazione emotiva. Ci prendiamo il merito del bello per nutrire l’autostima e attribuiamo al destino il brutto per non soccombere alla colpa.

Questa oscillazione, lungi dall’essere incoerente, è profondamente umana. Ci aiuta a rimanere in equilibrio tra l’orgoglio e l’umiltà, tra la fiducia in noi stessi e l’accettazione dei limiti.


Il segreto della vera libertà: una nuova definizione

Allora, cosa è più liberatorio? Credere nel destino o pensare che tutto dipenda solo da noi?
La risposta potrebbe essere: nessuno dei due, se presi da soli. La vera libertà non è scegliere un’estremità, ma integrare entrambe.

È liberatorio credere nel destino quando ci ricorda che non dobbiamo controllare tutto. Che possiamo lasciar andare ciò che non dipende da noi, accettare l’imprevisto, trovare senso anche nel dolore.
Ed è liberatorio credere nella responsabilità personale quando ci ricorda che possiamo cambiare, che le nostre azioni contano, che non siamo vittime passive delle circostanze.

In pratica, significa adottare una mentalità flessibile:

  • Agisci come se tutto dipendesse da te. Metti impegno, fai scelte consapevoli, rischia, crea.
  • Accetta come se tutto fosse destino. Quando qualcosa sfugge al tuo controllo, lascia che sia. Trova significato senza cercare colpe.

Questo equilibrio, che richiama la saggezza stoica, è forse la forma più profonda di libertà. Non è rassegnazione, né arroganza: è lucidità.


Come applicarlo nella vita di tutti i giorni

Per trasformare questa filosofia in pratica quotidiana, possiamo allenare alcune abitudini:

  1. Distinguere ciò che dipende da noi. Ogni mattina, chiediti: “Cosa posso realmente influenzare oggi?” Il resto lascialo andare.
  2. Accogliere l’imprevisto come parte della storia. Invece di vedere un ostacolo come una punizione, consideralo un capitolo necessario.
  3. Riscrivere il linguaggio interiore. Sostituisci frasi come “non posso farci nulla” con “non posso controllarlo, ma posso scegliere come reagire”.
  4. Celebrare le coincidenze senza esserne schiavi. Goditi i momenti che sembrano “scritti nelle stelle”, ma continua a fare la tua parte.

Queste pratiche non eliminano il mistero della vita, ma ci aiutano a danzare con esso.


Un messaggio per chi cerca risposte

In un mondo iperconnesso e competitivo, ci viene detto che dobbiamo essere sempre “padroni del nostro destino”. Ma il rischio è trasformare la libertà in un nuovo tipo di gabbia: quella della performance senza tregua.
Allo stesso tempo, rifugiarsi nell’idea che “tutto è scritto” può farci perdere occasioni irripetibili.

La verità è che siamo esseri narrativi. Abbiamo bisogno sia della libertà che del mistero, sia della volontà che della sorpresa. La vita è una co-creazione tra noi e qualcosa di più grande — chiamalo universo, caso, Dio, o semplicemente l’infinita rete di eventi che non possiamo prevedere.

Forse, allora, la domanda non è “destino o responsabilità?”, ma “come posso vivere danzando tra i due?”
E la risposta, paradossalmente, è che questa danza è già libertà.


Un invito a chi legge

La prossima volta che ti accadrà qualcosa di inatteso — un incontro, una perdita, un successo improvviso — prova a chiederti:
“Quanto di questo è frutto delle mie scelte? Quanto è un regalo del caso?”
Non cercare una percentuale precisa. Goditi la meraviglia di non poterlo sapere.
Perché forse la vera liberazione sta proprio qui: nel riconoscere che la vita è più grande di qualsiasi teoria, e che noi siamo sia autori che personaggi della nostra storia.



Credere nel destino ci libera dal controllo ossessivo. Credere nella responsabilità personale ci libera dalla rassegnazione. Il segreto è non scegliere, ma intrecciare.
Agisci come se dipendesse tutto da te, accetta come se fosse tutto scritto. In questa apparente contraddizione si nasconde la più grande forma di libertà: quella di vivere pienamente, senza più bisogno di scuse.

foto: Valentin Angel Fernandez 

Lascia un commento