Perché la musica ci fa venire la pelle d’oca?

C’è un istante che sfugge al controllo, un attimo che non puoi prevedere né comandare.
Stai ascoltando una canzone, magari la conosci a memoria, eppure — improvvisamente — qualcosa succede: una nota che si apre inaspettata, un crescendo che ti avvolge, una voce che vibra in un modo diverso dal solito. Ed eccolo lì: un brivido che ti attraversa, la pelle che si increspa come un campo di grano al vento.

Quella sensazione ha un nome: piloerezione. Ma ridurla a un termine tecnico è come descrivere un tramonto dicendo solo “calo della luce solare”. La verità è che quei brividi non sono semplici contrazioni muscolari: sono il linguaggio segreto con cui il corpo ti sussurra che la musica ha toccato la parte più profonda di te.


Un retaggio antico che vive ancora in noi

Dal punto di vista biologico, la pelle d’oca è un residuo evolutivo. Nei nostri antenati serviva a gonfiare il pelo per sembrare più grandi di fronte a un predatore o a trattenere calore. Oggi non abbiamo più quella pelliccia, ma il meccanismo rimane.
Perché?

Perché la natura non conserva nulla per caso.
La pelle d’oca è diventata una risposta emozionale universale. È come se il corpo avesse trovato un modo per tradurre in sensazioni fisiche quello che altrimenti non sapresti spiegare. È un ponte tra emozione e carne, tra invisibile e tangibile.


Il cervello che si illumina: dopamina e attesa

Gli studi neuroscientifici hanno rivelato un segreto affascinante: quando provi i brividi musicali, il tuo cervello si comporta come se stesse ricevendo una ricompensa. Si attivano le stesse aree cerebrali coinvolte nel piacere del cibo, dell’amore, della vittoria.

La sostanza chiave è la dopamina, il neurotrasmettitore del desiderio e della motivazione. Ma la cosa sorprendente è che la dopamina non esplode solo nel momento del brivido: comincia ad aumentare prima, nell’attesa di quel punto musicale che sai che sta per arrivare.

Un crescendo orchestrale, un drop in un brano elettronico, il silenzio improvviso prima di un coro: sono momenti che il cervello “prevede” come speciali, e il corpo si prepara. Poi, quando la nota arriva, la scarica chimica si completa: ecco spiegato quel brivido che non riesci a fermare.

È come se la musica fosse capace di accendere in te la stessa dinamica di un innamoramento: attesa, desiderio, esplosione.


Il ruolo della sorpresa

La pelle d’oca nasce quando la musica sa sorprenderci senza tradire la sua armonia.
Il cervello è un abile predittore: anticipa cosa sta per accadere, riconosce schemi, immagina le note successive. Ma quando un brano rompe delicatamente quelle aspettative — con un cambio di tonalità, una pausa improvvisa, una voce che entra inattesa — ecco che il corpo reagisce.

Non è la sorpresa pura che provoca i brividi, ma la sorpresa intrecciata alla bellezza. È l’incontro perfetto tra ciò che ti aspettavi e ciò che non avresti mai previsto.


Perché alcuni li provano e altri no

Non tutti gli ascoltatori vivono questo fenomeno. Alcuni si commuovono facilmente, altri raramente.
La differenza sta in più fattori:

  • Sensibilità emotiva: le persone empatiche, capaci di immergersi nelle esperienze, hanno più probabilità di avere brividi musicali.
  • Personalità: chi ha un alto grado di apertura all’esperienza — immaginazione, curiosità, creatività — reagisce più intensamente alla musica.
  • Memoria personale: se una canzone è legata a un ricordo importante, è più facile che scateni la pelle d’oca.
  • Allenamento all’ascolto: i musicisti o chi ascolta con attenzione sviluppano una maggiore capacità di “anticipare” la musica e quindi di vivere più brividi.

È un fenomeno universale, ma profondamente soggettivo: la musica colpisce tutti, ma non allo stesso modo.


La pelle d’oca come macchina del tempo

Quanti brividi hai provato ascoltando un brano che ti riportava a un amore passato, a un’estate lontana, a un dolore che credevi dimenticato?

La pelle d’oca non è solo una reazione istantanea: è una macchina del tempo emozionale. Ti riporta in luoghi che non puoi visitare, ti fa rivivere sensazioni sopite, ti permette di riabbracciare parti di te che avevi lasciato indietro.

È la prova che la musica non vive solo nelle orecchie, ma nei nervi, nei ricordi, nelle emozioni congelate che un suono può improvvisamente risvegliare.


Il potere dei brividi condivisi

Chiunque sia stato a un concerto conosce la potenza di questo fenomeno. Migliaia di persone che urlano la stessa strofa, un coro che si alza insieme, una folla che vibra come un unico organismo.

In quel momento la pelle d’oca non è più individuale: diventa collettiva. È il segnale che non sei solo, che stai respirando insieme agli altri. I brividi collettivi sono una forma di comunione, un collante sociale che ci ricorda l’origine tribale della musica.

La scienza lo conferma: cantare e ascoltare musica insieme sincronizza i battiti cardiaci, i respiri, persino le onde cerebrali. La pelle d’oca è il marchio tangibile di questa connessione invisibile.


Una funzione evolutiva?

C’è chi ipotizza che i brividi musicali abbiano avuto un ruolo importante nella sopravvivenza.
Nelle società primitive, la musica non era intrattenimento ma strumento di coesione.
Cantare insieme, battere le mani, seguire un ritmo comune: tutto questo creava unità, rafforzava i legami, teneva compatto il gruppo.

La pelle d’oca, come risposta condivisa, potrebbe essere stata un segnale biologico che diceva: siamo insieme, siamo parte di un unico organismo emotivo. Forse per questo ancora oggi, migliaia di anni dopo, continuiamo a provarla.


Il brivido come risposta estetica

Oltre alla biologia e alla psicologia, c’è un altro aspetto: l’estetica. La pelle d’oca è la firma che il corpo appone quando riconosce la bellezza.

Non è un caso che il fenomeno avvenga davanti a una melodia struggente, a una voce che sembra graffiare l’anima, a un’armonia che sospende il tempo. È l’effetto del sublime, quel momento raro in cui ci sentiamo trasportati al di là di noi stessi.

Il corpo reagisce perché non può fare altro: traduce il bello in brividi.


Una bussola emotiva

La pelle d’oca non mente.
Non puoi ordinarle di arrivare, non puoi fingere. È un segnale autentico, spontaneo, incontrollabile.

E in questo senso diventa una bussola emotiva: ti indica ciò che ti tocca davvero, ciò che risuona con te. È un promemoria che ti dice: qui c’è qualcosa di vero, non ignorarlo.


Un miracolo quotidiano

Dietro la pelle d’oca c’è scienza: dopamina, aspettative, circuiti neuronali. Ma ridurre i brividi musicali a un fenomeno chimico sarebbe come ridurre l’amore a un insieme di ormoni.

Perché la verità è che ogni volta che una canzone ti fa venire i brividi, stai vivendo un piccolo miracolo.
È la prova che non sei solo un corpo che ascolta, ma un’anima che vibra. È il momento in cui biologia e poesia si incontrano, e il mondo smette per un attimo di essere logico per diventare profondamente umano.

La prossima volta che la musica ti regalerà un brivido, non scacciarlo. Non dirai “è solo pelle d’oca”. No: è molto di più. È il segno che sei vivo, che sai ancora sentire, che c’è ancora qualcosa capace di attraversarti e lasciarti senza parole.

E forse, in fondo, non viviamo per nient’altro che per questi attimi: per i brividi che ci ricordano che, oltre a esistere, sappiamo ancora emozionarci.

Foto: Gustavo Fring

Sleep e “Dopesmoker”: la canzone più lunga del Rock

di Sergio Amodei

Tra le varie leggende che popolano il mondo del rock e del metal, una delle più affascinanti è quella legata agli Sleep e alla loro imponente opera: “Dopesmoker”. Con i suoi oltre 63 minuti di durata in un’unica traccia, Dopesmoker è più di una canzone: è un’esperienza sonora monumentale che ha ridefinito i confini del doom metal e, più in generale, della musica pesante. Considerata la “canzone più lunga del rock metal”, questo mastodonte sonoro si erge come una pietra miliare nella storia della musica underground, trascendendo il semplice concetto di brano musicale per diventare un vero e proprio rito collettivo.

Il genio degli Sleep e la creazione di Dopesmoker

Gli Sleep, formati da Al Cisneros (voce e basso), Matt Pike (chitarra) e Chris Hakius (batteria), sono emersi nella scena metal dei primi anni ’90 con un sound che combinava il peso del doom metal dei Black Sabbath con la lentezza ipnotica dello stoner rock. Tuttavia, la band non si è mai accontentata di rimanere nei confini tradizionali del genere. Il loro obiettivo era spingere l’esperienza sonora oltre ogni limite conosciuto, esplorando il concetto di ripetizione e trance attraverso il riff.

Dopo aver guadagnato popolarità con il loro album “Sleep’s Holy Mountain” nel 1992, gli Sleep iniziarono a lavorare a qualcosa di completamente nuovo e ambizioso: un’opera che avrebbe condensato tutto il loro stile in un’unica, lunghissima composizione. Quel progetto, originariamente intitolato “Jerusalem”, divenne poi Dopesmoker. Il brano è una sinfonia di pesantezza e spiritualità che si sviluppa come un mantra musicale, incentrato su un unico, poderoso riff che viene reiterato per gran parte della durata del pezzo.

Dopesmoker: un viaggio musicale e spirituale

Dopesmoker non è una canzone facile da ascoltare. È una sfida, un viaggio mistico attraverso deserti sonori infiniti, in cui l’ascoltatore viene avvolto in strati di chitarre ultra distorte, linee di basso profonde e una batteria che scandisce il tempo come un battito cardiaco rallentato. La voce di Al Cisneros, lontana e incantatoria, guida l’ascoltatore attraverso un pellegrinaggio narrativo che mescola immagini bibliche, visioni psichedeliche e una cultura stoner permeata dal fumo di marijuana.

Il testo stesso è enigmatico: racconta la storia di un gruppo di nomadi che attraversano un deserto sconfinato, alimentati da un fervore spirituale e dalla “erba sacra”. Il brano diventa una sorta di epopea moderna, dove la ripetizione dei riff assume una qualità rituale, quasi meditativa. È come se la musica stessa invitasse chi ascolta a lasciarsi andare, a perdersi nel flusso sonoro per riscoprire una connessione più profonda con sé stessi e con l’universo.

L’Odissea della pubblicazione

Nonostante la visione chiara della band, Dopesmoker non fu facile da realizzare, né tantomeno da pubblicare. Nel 1996, gli Sleep si erano assicurati un contratto con la major London Records, che inizialmente accolse con entusiasmo la nuova opera. Tuttavia, una volta consegnato l’album, la label fu completamente disorientata: come poteva essere commercialmente sostenibile un album composto da un’unica traccia di oltre un’ora? La casa discografica si rifiutò di pubblicarlo, chiedendo alla band di tagliare e ridurre il pezzo per renderlo più accessibile.

Gli Sleep, fermi nella loro visione artistica, si rifiutarono categoricamente, causando un lungo stallo con l’etichetta. Questo conflitto portò infine alla separazione del gruppo, che si sciolse nel 1998 senza che Dopesmoker vedesse la luce ufficialmente. L’album venne pubblicato solo anni dopo, nel 2003, grazie all’etichetta Tee Pee Records, e fu immediatamente riconosciuto come un classico. Dopesmoker non era solo una sfida ai confini commerciali della musica, ma una dimostrazione di integrità artistica e di fede nella propria visione.

La potenza della ripetizione

Uno degli aspetti più straordinari di Dopesmoker è la sua capacità di mantenere l’attenzione nonostante la sua lunghezza e la sua apparente semplicità. Il brano si sviluppa principalmente attorno a un riff centrale che si ripete quasi ossessivamente, ma con leggere variazioni che gli conferiscono una qualità ipnotica. Questa ripetizione non è monotona: diventa piuttosto una forma di meditazione, in cui l’ascoltatore si immerge nel ritmo e nella tonalità, fino a raggiungere una sorta di trance musicale.

Matt Pike, chitarrista della band, descrisse il riff principale come un mantra che si ripete per trasportare l’ascoltatore in uno stato mentale alterato, quasi mistico. Questa è una delle caratteristiche chiave che ha reso Dopesmoker una pietra miliare del doom metal e dello stoner rock: la capacità di creare un’esperienza trascendentale attraverso la semplicità e la ripetizione.

Un’eredità imponente

L’importanza di Dopesmoker non risiede solo nella sua lunghezza, ma nel modo in cui sfida le convenzioni musicali. Dove molte band cercano la complessità tecnica o la velocità per impressionare l’ascoltatore, gli Sleep abbracciano la lentezza, la profondità e la ripetizione come strumenti per costruire un universo sonoro unico.

Con il tempo, Dopesmoker è diventato un riferimento culturale, non solo per gli appassionati di doom e stoner metal, ma anche per artisti di generi diversi che ammirano l’ambizione e il coraggio della band. L’opera incarna un principio fondamentale del rock sperimentale: la libertà di esplorare territori musicali che sfuggono alle logiche di mercato, puntando invece a creare qualcosa di veramente unico e significativo.

Oggi, Dopesmoker rimane uno degli album più rispettati e studiati nella scena metal, un monolito sonoro che sfida l’ascoltatore a mettersi comodo, a respirare profondamente e a immergersi nel suo mondo lento, pesante e mistico.

In un mondo musicale che privilegia la velocità e la gratificazione immediata, Dopesmoker è un promemoria potente del potere della pazienza e della dedizione.

30 anni fa usciva il terzo e ultimo album dei Nirvana “In Utero”

Il 21 settembre 1993, esattamente trent’anni fa, usciva In Utero, il terzo e ultimo album in studio dei Nirvana. Il disco, prodotto da Steve Albini, segnava una svolta nella carriera della band, abbandonando il sound grunge di Nevermind (1991) per un’atmosfera più cupa e sperimentale.

Il contesto

Il successo di Nevermind fu travolgente. L’album, che aveva saputo coniugare il grunge con la melodia, aveva portato i Nirvana al successo mondiale, consacrandoli come una delle band più importanti del rock. Tuttavia, il successo aveva anche avuto un prezzo. Cobain, in particolare, si sentiva sempre più oppresso dalla fama e dalla pressione mediatica.

La registrazione

La registrazione di In Utero fu un processo difficile e tormentato. Cobain era intenzionato a realizzare un album che fosse il più autentico possibile, lontano dal suono patinato di Nevermind. Per questo motivo, scelse di lavorare con Albini, un produttore noto per il suo approccio lo-fi.

La registrazione si svolse in soli sei giorni, nel febbraio 1993, al Pachyderm Studio di Cannon Falls, Minnesota. Cobain era insoddisfatto del risultato finale e chiese a Albini di remixare alcune tracce. Tuttavia, il produttore si rifiutò, sostenendo che il disco fosse già perfetto così com’era.

Il disco

In Utero è un album complesso e stratificato. Le canzoni esplorano temi come la depressione, la solitudine e la morte. Il sound è più cupo e abrasivo rispetto a Nevermind, con un uso massiccio di distorsione e feedback.

Scentless Apprentice introduce l’atmosfera cupa e angosciante dell’album. Heart-Shaped Box è una ballata malinconica, in cui Cobain canta del suo amore per Courtney Love. Rape Me è una canzone furiosa e rabbiosa, in cui Cobain denuncia la violenza sessuale.

Dumb è una canzone ironica e autoironica, in cui Cobain si prende in giro per la sua incapacità di comunicare. All Apologies è una ballata delicata e commovente, in cui Cobain chiede perdono per i suoi errori.

Il successo

In Utero fu un successo commerciale e di critica. L’album debuttò al primo posto della classifica Billboard 200, vendendo oltre 3 milioni di copie negli Stati Uniti. Il disco fu acclamato dalla critica, che lo definì un capolavoro del grunge.

L’eredità

In Utero è considerato uno dei dischi più importanti del rock degli anni ’90. Il disco ha avuto un impatto profondo sulla scena musicale, influenzando un’intera generazione di artisti.

In ricordo di Kurt Cobain

In Utero è anche l’ultimo album in studio di Kurt Cobain. Il cantante si suicidò il 5 aprile 1994, a soli 27 anni. In Utero è quindi un disco che assume un valore ancora più simbolico, come testamento artistico di uno dei più grandi musicisti della storia.

Conclusione

In Utero è un album complesso e affascinante, che ha segnato un punto di svolta nella carriera dei Nirvana e nella storia del rock. Il disco è un’opera matura e introspettiva, che esplora temi universali come la sofferenza, la solitudine e la ricerca di un senso. In Utero è un disco che ha resistito alla prova del tempo e che continua a ispirare e a commuovere i fan di tutto il mondo.

Soundgarden: il viaggio di una band iconica attraverso il grunge e oltre

di Sergio Amodei

Originari di Seattle, Washington, la band si è formata alla fine degli anni ’80 ed è diventata rapidamente uno dei pionieri della musica grunge. Con una combinazione unica di riff pesanti, strutture musicali complesse e la voce potente e straordinaria di Chris Cornell, i Soundgarden hanno tracciato una strada attraverso il panorama del rock alternativo, lasciando un’impronta indelebile.

I primi passi: formazione

La storia dei Soundgarden ha inizio nel 1984, quando il chitarrista Kim Thayil, il bassista Hiro Yamamoto, e il batterista e cantante Chris Cornell si unirono per creare una band a Seattle. Inizialmente chiamata “The Shemps”, la band presto cambierà il nome in Soundgarden, ispirandosi a una scultura del vento situata a Sand Point, Seattle. Questa scelta del nome anticipava la ventata di innovazione e originalità che i Soundgarden avrebbero portato nella scena musicale.

Il loro sound iniziale era fortemente influenzato dal punk rock e dal metal, ma già in questa fase embrionale, dimostrarono una propria identità musicale unica. Le prime esibizioni live dei Soundgarden, spesso in piccoli locali di Seattle, attirarono l’attenzione della comunità musicale locale, segnando l’inizio del loro percorso.

Nel 1987, i Soundgarden pubblicarono il loro EP di debutto, “Screaming Life“, un lavoro che metteva in luce l’energia cruda e la potenza delle loro esibizioni dal vivo. Le tracce dell’EP, come “Hunted Down” e “Tears to Forget“, mostrarono le prime sfumature del sound unico dei Soundgarden, con riff di chitarra contorti e la voce distintiva di Chris Cornell.

Il crescendo creativo: “Ultramega OK”

Il 1988 vide l’uscita del primo album completo dei Soundgarden, “Ultramega OK“. Questo album, registrato in modo indipendente, rappresentava un passo significativo nella loro evoluzione artistica. “Ultramega OK” aveva un sound più complesso e rifinito rispetto all’EP di debutto, con brani come “Flower” e “All Your Lies” che mostravano una profondità lirica e musicale crescente.

Nonostante il limitato successo commerciale dell’album, “Ultramega OK” ottenne un’accoglienza positiva dalla critica e contribuì a consolidare la reputazione dei Soundgarden come una delle band più promettenti della scena rock underground.

Il salto verso il mainstream: “Louder Than Love”

Il vero punto di svolta della carriera dei Soundgarden arrivò con l’uscita dell’album “Louder Than Love” nel 1989. Questo lavoro fu il primo pubblicato sotto l’etichetta A&M Records, segnando il passaggio dei Soundgarden al grande pubblico. Il sound di “Louder Than Love” era più accessibile, ma non perdeva l’aggressività e l’originalità della band.

L’album conteneva tracce memorabili come “Hands All Over” e “Loud Love“, che catturarono l’attenzione dei fan e dei critici. La potenza vocale di Chris Cornell, le ritmiche incalzanti di Yamamoto e la chitarra distorta di Thayil diedero vita a un suono che si distingueva nettamente dalla scena musicale dominante dell’epoca.

“Louder Than Love” ottenne un notevole successo commerciale e consolidò la posizione dei Soundgarden come una delle band più promettenti del rock. Tuttavia, sarebbe stato l’album successivo a portarli al livello successivo di fama.

L’apice del Grunge: “Badmotorfinger”

Nel 1991, i Soundgarden pubblicarono l’album “Badmotorfinger”, che sarebbe diventato uno dei capisaldi del movimento grunge e avrebbe catapultato la band al centro dell’attenzione mondiale. L’album rappresentò una fusione perfetta tra la potenza del grunge emergente e la complessità musicale che aveva sempre caratterizzato i Soundgarden.

Le tracce come “Jesus Christ Pose“, “Rusty Cage” e “Outshined” divennero inno del grunge e mostravano la maturità artistica della band. L’abilità di Chris Cornell di spaziare dalle urla viscerali alle melodie più dolci rese il suo stile vocale una forza inarrivabile.

“Badmotorfinger” ricevette recensioni lusinghiere dalla critica e conquistò un vasto pubblico. La band si esibì in tour per promuovere l’album, consolidando ulteriormente la loro reputazione come una delle migliori band live del periodo.

“Superunknown”

Tuttavia, sarebbe stato l’album del 1994, “Superunknown”, a portare i Soundgarden all’apice della loro carriera. L’album è stato un capolavoro, caratterizzato da una profondità musicale e lirica straordinaria. Le tracce come “Black Hole Sun”, “Fell on Black Days” e “Spoonman” conquistarono le radio e la televisione.

“Black Hole Sun”, in particolare, è stata una canzone iconica degli anni ’90, con la sua melodia inquietante e il suo video musicale surrealista. L’album ha vinto due Grammy Award e ha venduto milioni di copie in tutto il mondo. Con “Superunknown“, i Soundgarden avevano raggiunto l’apice del loro successo.

l’esplorazione artistica

Nonostante il successo straordinario di “Superunknown”, i Soundgarden non si accontentarono di ripetere la stessa formula. Nel 1996, pubblicarono “Down on the Upside”, un album che segnò una deviazione dal loro sound precedente. L’album presentava una miscela più eclettica di canzoni, con maggiore enfasi sulla strumentazione acustica e un approccio lirico più introspettivo.

Brani come “Blow Up the Outside World” e “Burden in My Hand” mostravano un lato più riflessivo della band, mentre “Pretty Noose” e “Ty Cobb” conservavano la loro energia grezza. “Down on the Upside” non ottenne lo stesso successo commerciale di “Superunknown”, ma dimostrò la crescita artistica e la versatilità della band.

Lo scioglimento temporaneo e la riunione

Nel 1997, dopo un tour in supporto a “Down on the Upside”, i Soundgarden annunciarono il loro scioglimento temporaneo. Tensioni interne e il cambiamento del panorama musicale contribuirono alla loro decisione di ritirarsi dalla scena. Questa pausa durò oltre un decennio, durante il quale i membri intrapresero progetti individuali ed esplorarono nuovi orizzonti musicali.

I fan della band attesero con impazienza qualsiasi segno di una riunione, e i loro desideri furono esauditi nel 2010, quando i Soundgarden si riunirono ufficialmente. Intrapresero un tour di riunione di successo e pubblicarono “King Animal”. L’album dimostrò che i Soundgarden non avevano perso il loro estro creativo, offrendo una serie di brani che combinavano l’energia grezza dei loro primi anni con la maturità dei loro anni successivi.

Il lascito dei Soundgarden

I Soundgarden hanno avuto un ruolo cruciale alla diffusione del grunge nella cultura popolare, influenzando innumerevoli band e artisti che sono venuti dopo di loro. Il loro approccio innovativo alla scrittura delle canzoni e al superamento dei confini di genere ha aperto la strada all’evoluzione continua del rock alternativo.

Uno degli aspetti più duraturi del lascito dei Soundgarden è la potente e struggente voce di Chris Cornell. La sua estensione vocale e la sua interpretazione emotiva hanno stabilito un alto standard per i cantanti rock, facendogli guadagnare un posto tra le voci più grandi nella storia del rock. Chris Cornell è scomparso tragicamente nel 2017, lasciando un vuoto nel mondo della musica che non potrà mai essere veramente colmato.

La musica dei Soundgarden continua a risuonare con le nuove generazioni, le loro canzoni sono regolarmente reinterpretate da artisti che rendono omaggio al loro duraturo lascito.

Conclusioni

Il percorso dei Soundgarden, dalla scena punk underground di Seattle al palcoscenico globale della superstardom rock, è una testimonianza del loro talento e della loro determinazione. La loro musica, caratterizzata dalla complessità sonora e dalla profondità emotiva, ha lasciato un segno indelebile nel mondo del rock e della musica alternativa.

Anche se i Soundgarden potrebbero non essere più una band attiva, il loro lascito vive attraverso le loro registrazioni e l’impatto che hanno avuto nel panorama musicale. La loro capacità di evolversi e sperimentare pur rimanendo fedeli alla loro visione artistica è una testimonianza della loro rilevanza duratura.

Mentre continuiamo ad ascoltare le loro canzoni iconiche ed esplorare la loro discografia, è chiaro che la musica dei Soundgarden sarà sempre più forte dell’amore, risuonando con i fan e gli artisti di generazioni future. I Soundgarden rimarranno per sempre un pilastro nella storia del rock.

David Gilmour e il suo contributo alla storia della musica rock

di Sergio Amodei

David Gilmour, l’iconico chitarrista dei Pink Floyd, è un nome che risuona con milioni di appassionati di musica in tutto il mondo. Con i suoi assoli di chitarra melodici e malinconici, le voci evocative e il talento nel comporre canzoni, Gilmour ha lasciato un segno indelebile nel mondo della musica rock. In questo articolo, esploreremo la vita, la carriera e il genio musicale di David Gilmour, l’uomo che ha contribuito a plasmare il suono di una delle più grandi band rock della storia.

Le Prime Fasi della Vita e dell’Inizio Musicale

David Jon Gilmour è nato il 6 marzo 1946 a Cambridge, in Inghilterra. Suo padre, Douglas Gilmour, era un docente di zoologia, mentre sua madre, Sylvia, era un’insegnante. Cresciuto in una famiglia di classe media, il giovane David ha mostrato un precoce interesse per la musica. Suo padre lo ha introdotto al mondo degli strumenti a fiato, e David ha iniziato a suonare la tromba all’età di 11 anni. Tuttavia, il suo vero viaggio musicale ha avuto inizio all’età di 13 anni quando ha preso in mano la chitarra.

Le prime influenze musicali di Gilmour includevano leggende del blues come B.B. King e Muddy Waters, oltre ai pionieri del rock and roll come Elvis Presley e Chuck Berry. Ha affinato le sue abilità con la chitarra suonando in band locali e ha presto capito che la musica era la sua vera vocazione. Questa consapevolezza lo avrebbe portato a un destino che non avrebbe mai potuto immaginare.

L’Ingresso nei Pink Floyd

Nel 1967, David Gilmour è stato invitato a unirsi a una band relativamente sconosciuta chiamata Pink Floyd. Gilmour è stato inizialmente inserito come sostituto di Syd Barrett, ma il suo ruolo nella band si è evoluto rapidamente diventando parte integrante del loro processo creativo.

L’arrivo di Gilmour segnò una svolta nella storia dei Pink Floyd. Le sue eccezionali abilità con la chitarra e la sua capacità di creare bellissime melodie hanno dato nuova vita alla band. Ha condiviso le parti vocali con Roger Waters, aggiungendo la sua voce distintiva e malinconica al suono della band. Il suo primo album con i Pink Floyd, “A Saucerful of Secrets” (1968), ha mostrato il suo talento con la chitarra e ha segnato l’inizio di una leggendaria collaborazione.

L’Era d’Oro dei Pink Floyd

Gli anni ’70 hanno visto i Pink Floyd entrare nella loro era d’oro con album come “Meddle” (1971), “The Dark Side of the Moon” (1973), “Wish You Were Here” (1975) e “Animals” (1977). La chitarra di David Gilmour e le sue abilità di compositore hanno giocato un ruolo fondamentale nel definire il suono della band durante questo periodo.

“The Dark Side of the Moon”, in particolare, è spesso considerato uno dei più grandi album nella storia del rock. Gli assoli di chitarra emotivi di Gilmour su brani come “Time” e “Money” sono senza tempo e continuano a risuonare tra i fan di tutte le generazioni. La sua capacità di comunicare emozioni profonde attraverso la sua chitarra lo ha reso un artista eccezionale in un genere noto per i virtuosi.

“Wish You Were Here” ha ulteriormente solidificato la reputazione di Gilmour come virtuoso della chitarra. Il brano principale, con la sua intro di chitarra malinconica e i testi commoventi, rimane un inno alla nostalgia. Il lavoro di chitarra di Gilmour in questo album ha mostrato non solo la competenza tecnica, ma anche una profonda connessione emotiva con la musica.

Gilmour come Compositore

Mentre Roger Waters era il principale autore dei testi per i Pink Floyd, David Gilmour ha contribuito significativamente alla composizione delle canzoni della band. Le sue composizioni esploravano spesso temi legati all’introspezione, all’amore e alla condizione umana. Brani come “Comfortably Numb“, “Shine On You Crazy Diamond” e “Us and Them” portano il marchio di Gilmour, dimostrando la sua capacità di creare canzoni intricate ed emotivamente coinvolgenti.

Comfortably Numb“, in particolare, si distingue come uno dei capolavori di Gilmour. Gli assoli di chitarra avvolgenti e i testi commoventi lo hanno reso un classico senza tempo, e le performance dal vivo di Gilmour di questo brano sono leggendarie per la loro intensità e profondità emotiva.

Carriera Solista

Oltre al suo lavoro con i Pink Floyd, David Gilmour ha intrapreso anche una carriera solista di successo. Il suo album di debutto omonimo, “David Gilmour” (1978), ha mostrato le sue abilità di compositore e ha presentato collaborazioni con artisti come Roy Harper e Rick Wills. Il brano principale dell’album, “There’s No Way Out of Here”, ha dimostrato la capacità di Gilmour di creare musica che era allo stesso tempo introspettiva e accessibile.

Gilmour ha continuato a pubblicare album da solista nel corso degli anni, con uscite degne di nota come “About Face” (1984) e “On an Island” (2006). Questi album gli hanno permesso di esplorare i suoi interessi musicali al di fuori dei confini dei Pink Floyd, e il suo lavoro da solista è stato accolto positivamente sia dai fan che dalla critica.

Esibizioni dal Vivo

Una delle più grandi qualità di David Gilmour è la sua capacità di offrire esibizioni dal vivo affascinanti. I suoi assoli di chitarra, hanno lasciato il pubblico a bocca aperta per decenni. La sua maestria nell’uso dello strumento è evidente durante i suoi concerti dal vivo, in cui ricrea senza sforzo gli assoli iconici diventati un marchio dei Pink Floyd.

Le esibizioni dal vivo degne di nota includono “Pulse” (1994), un album e video registrato durante il tour di “The Division Bell” dei Pink Floyd, e “Live at Pompeii” (2016), in cui Gilmour si è esibito nell’antico anfiteatro romano. Queste performance mettono in mostra il suo talento duraturo e la sua capacità di connettersi con il pubblico in modo profondo.

Eredità e Influenza

L’influenza di David Gilmour nel mondo della musica si estende ben oltre i Pink Floyd. Il suo suono malinconico ha ispirato innumerevoli chitarristi e musicisti di ogni genere. La sua capacità di suonare la chitarra come mezzo di espressione emotiva ha stabilito uno standard per ciò che significa essere un chitarrista virtuoso.

Inoltre, i contributi di Gilmour alla discografia dei Pink Floyd hanno solidificato la posizione della band nella storia del rock. Gli album che ha contribuito a creare sono classici senza tempo che continuano a catturare nuove generazioni di ascoltatori. La musica dei Pink Floyd, con la chitarra di Gilmour al centro, supera i confini del tempo e del genere, affascinando fan di tutte le età.

Conclusioni

David Gilmour, il chitarrista che ha definito i Pink Floyd, è una leggenda musicale il cui impatto nel mondo del rock è incalcolabile. I suoi assoli di chitarra malinconici, le vocali avvolgenti e la profonda scrittura delle canzoni hanno lasciato un’impronta indelebile nella storia della musica. Dai suoi primi giorni da giovane chitarrista a Cambridge alle sue esibizioni iconiche sul palcoscenico mondiale, il percorso di Gilmour è una testimonianza del potere della musica nel muovere cuori e anime.

Mentre i fan continuano a venerare la sua musica e le nuove generazioni scoprono la magia dei Pink Floyd, l’eredità di David Gilmour rimane viva e duratura. Non è solo un chitarrista; è un narratore musicale, e le sue storie continueranno a risuonare con noi per generazioni a venire.

Rolling Stones: come si sono conosciuti Mick Jagger e Keith Richards?

di Sergio Amodei

Nel vasto panorama della musica rock, poche band possono vantare una storia così ricca e duratura quanto i Rolling Stones. Il loro impatto sulla musica e sulla cultura pop è stato incommensurabile, e gran parte di questo successo può essere attribuito all’incredibile connessione tra i loro membri fondatori, Mick Jagger e Keith Richards. Ma come è iniziata questa epica collaborazione?

I Primi Anni

Mick Jagger e Keith Richards si sono incontrati per la prima volta all’età di quattro anni, quando entrambi erano studenti. Questo incontro avvenne nelle aule di una scuola primaria nella città natale di entrambi, Dartford, nel Kent, Inghilterra. Mentre la loro amicizia iniziò nella tenera età della scuola elementare, la loro connessione crebbe con il tempo.

La Passione per la Musica

Entrambi i giovani mostravano un interesse precoce per la musica. Keith Richards imparò a suonare la chitarra molto presto, e la sua passione per lo strumento cresceva ogni giorno. Mick Jagger, d’altra parte, era noto per la sua voce unica e potente fin dalla giovane età. La loro comune passione per la musica li portò a condividere idee e canzoni, anche se inizialmente come un semplice passatempo.

La Formazione dei Rolling Stones

Mentre crescevano, Mick e Keith iniziarono a frequentare insieme la scuola Dartford Maypole e, alla fine, a formare una band chiamata “Little Boy Blue and the Blue Boys“. Questo è stato il primo passo concreto verso la formazione di ciò che sarebbe diventato il leggendario gruppo dei Rolling Stones. La loro passione comune per il blues americano li unì ancora di più e li ispirò a iniziare a scrivere canzoni originali.

La Leggendaria Partnership

La loro partnership musicale non solo ha dato origine ai Rolling Stones, ma ha anche prodotto alcune delle canzoni più iconiche nella storia della musica. Brani come “Satisfaction“, “Paint It Black” e “Angie” sono solo alcuni esempi del loro straordinario lavoro insieme. La chimica tra Mick Jagger e Keith Richards sul palco è sempre stata palpabile, e questa sinergia ha contribuito in modo significativo al successo della band.

L’Eredità dei Rolling Stones

Oggi, dopo decenni di tour e registrazioni, i Rolling Stones rimangono una delle band rock più influenti e amate al mondo. La loro storia è un testamento alla forza dell’amicizia e della collaborazione. Mick Jagger e Keith Richards, due giovani che si sono incontrati in una piccola scuola inglese, hanno contribuito a plasmare la storia del Rock.

Il mondo della musica in lutto per la scomparsa di Sinéad O’Connor, la voce di “Nothing Compares 2 U”

La cantante irlandese Sinéad O’Connor è morta all’età di 56 anni, come riportato dal The Irish Times il 26 luglio. La causa della morte non è stata resa nota al momento della pubblicazione. “È con grande tristezza che annunciamo la scomparsa della nostra amata Sinéad”, ha dichiarato la sua famiglia in un comunicato a RTE e alla BBC. “La sua famiglia e i suoi amici sono devastati e hanno chiesto privacy in questo momento molto difficile”.

Sinéad O’Connor era una star in ascesa alla fine degli anni Ottanta, ma è diventata famosa nel 1990 quando la sua versione della canzone di Prince “Nothing Compares 2 U” è diventata una hit numero uno. La cantante era nota per la sua voce potente e intensa, ma anche per le sue controversie e le sue battaglie per varie cause sociali, tra cui i diritti umani, il femminismo e l’abuso sessuale nella Chiesa cattolica.

O’Connor ha rivelato di soffrire di disturbo bipolare nel 2007, in un’intervista con Oprah Winfrey. Negli anni successivi, ha avuto diversi ricoveri e trattamenti per problemi di salute mentale, fino a ricevere una diagnosi di disturbo post-traumatico da stress complesso e disturbo borderline di personalità nel 2021, in un’intervista con il New York Times. O’Connor ha anche sofferto di calcoli biliari e endometriosi, per la quale ha subito un’isterectomia radicale nel 2015, ma la sua salute mentale ne ha risentito.

O’Connor ha raccontato di essere stata vittima di abusi fisici, sessuali e psicologici quando era bambina, e di essere stata mandata in un asilo Magdalene, (un istituto femminile che aveva il compito di accogliere ragazze orfane), a causa dei suoi problemi comportamentali. La cantante ha avuto quattro figli da quattro matrimoni diversi, tutti finiti in divorzio.

Sinéad O’Connor ha pubblicato il suo ultimo album, No Veteran Dies Alone, nel maggio 2021. Si trattava del suo undicesimo disco in studio e il primo dopo cinque anni di pausa. L’album conteneva canzoni ispirate alla sua esperienza spirituale e alla sua conversione all’Islam nel 2018.

La morte di Sinéad O’Connor ha scosso il mondo della musica e dell’intrattenimento, e molti artisti le hanno reso omaggio sui social media. Tra questi, Bryan Adams, Melissa Etheridge, Annie Lennox, Boy George e Bono.

Foto: Bryan Ledgard

Morta la cantautrice Sinead O’Connor

La cantante e cantautrice irlandese Sinéad O’Connor è morta all’età di 56 anni dopo una lunga battaglia contro la depressione. O’Connor era conosciuta soprattutto per il suo singolo del 1990 “Nothing Compares 2 U”.  La notizia della sua morte è stata confermata dalla sua famiglia in una dichiarazione. O’Connor aveva annunciato il suo ritiro dalla musica nel 2020. La causa della sua morte non è stata ancora divulgata. O’Connor è stata una figura prominente nell’industria musicale e un’appassionata attivista per varie cause durante la sua carriera. La sua musica e il suo lascito continueranno ad essere celebrati dai fan di tutto il mondo.

Foto: Pymouss

Madame: Il talento e l’energia di una delle artiste più originali del panorama italiano

Madame, pseudonimo di Francesca Calearo, è una cantautrice e rapper italiana nata a Creazzo in provincia Vicenza il 16 gennaio 2002. Ha iniziato la sua carriera musicale nel 2018, quando ha firmato un contratto con l’etichetta Sugar Music e ha pubblicato il suo primo singolo, Anna. Da allora, ha ottenuto notorietà e successo grazie alla sua voce, al suo stile e alle sue collaborazioni con artisti come Marracash, Rkomi, Ensi e Dardust.

I primi passi nel mondo della musica

Madame ha scoperto la sua passione per la musica grazie al padre, che le ha trasmesso l’amore per il cantautorato italiano. Ha studiato pianoforte alle medie e si è avvicinata al rap ascoltando Fedez ed Emis Killa. Ha scelto il suo nome d’arte ispirandosi al personaggio di Madame Bovary, il romanzo di Gustave Flaubert che le ha fatto da compagna durante i suoi viaggi in treno per andare a scuola.

Il suo debutto discografico è avvenuto nel settembre del 2018 con il singolo Anna, prodotto da Eiemgei. Il brano racconta la storia di una ragazza che si sente inadeguata e cerca di cambiare il suo aspetto per piacere agli altri. Il successo è arrivato pochi mesi dopo con il secondo singolo, Sciccherie, certificato disco di platino, in cui Madame esprime la sua personalità forte e ironica. Il brano è diventato virale grazie alla condivisione su Instagram da parte del calciatore Cristiano Ronaldo, che ha fatto conoscere Madame a milioni di persone.

Le collaborazioni e i singoli

Nel 2019, Madame ha pubblicato altri due singoli: 17, prodotto da Eiemgei e Mago del Blocco, e La promessa dell’anno, prodotto da Estremo. Inoltre, ha partecipato a diverse collaborazioni con artisti importanti della scena rap italiana, come Rkomi nel brano Rosso di Night Skinny, Ensi in Mira e Marracash nella traccia Madame – L’anima, inclusa nell’album Persona. Quest’ultima canzone è stata certificata doppio disco di platino e ha mostrato la capacità di Madame di alternare rap e melodia.

Nel 2020, Madame ha continuato a sperimentare nuovi generi e sonorità, pubblicando i singoli Baby e Sentimi, entrambi prodotti da Crookers. Ha anche partecipato al remix ufficiale di Andromeda, il singolo di Elodie, e alla traccia Weekend nel mixtape Bloody Vinyl 3 assieme a Young Miles e Slait. A luglio, ha collaborato con Dardust, Ghali e Marracash alla realizzazione del singolo Defuera, che è stato certificato disco di platino.

Sanremo e Madame

Nel 2021, Madame ha raggiunto il suo primo grande traguardo: la partecipazione al Festival di Sanremo nella categoria Campioni con il brano Voce. La canzone è stata scritta dalla stessa Madame assieme a Dardust e Dimartino ed è stata prodotta da Crookers. Si tratta di un pezzo intenso e autobiografico in cui Madame racconta la sua storia e il suo rapporto con la musica. Con Voce, Madame si è classificata al quinto posto nella classifica finale del Festival ed ha vinto il Premio Lunezia per il valore musical-letterario.

Dopo Sanremo, Madame ha pubblicato il suo primo album in studio, intitolato semplicemente Madame. Il disco contiene dodici brani tra cui i singoli precedenti e le nuove canzoni Clito (con Gaia), Maledetta primavera (con Fabri Fibra) e Il mio amico (con Tha Supreme). L’album ha ricevuto ottime recensioni da parte della critica e del pubblico ed è entrato al primo posto nella classifica FIMI degli album più venduti in Italia.

Nel 2023, Madame è tornata a Sanremo per la seconda volta con il brano Il bene nel male. La canzone è stata scritta da Madame assieme a Dardust e Dimartino ed è stata prodotta da Crookers. Si tratta di un pezzo che parla della capacità di trovare la luce anche nelle situazioni più difficili e che mescola rap, pop e rock. Con Il bene nel male, Madame si è classificata al terzo posto nella classifica finale del Festival ed ha ricevuto il Premio della Critica Mia Martini.

Le date del tour 2023

Dopo il successo di Sanremo, Madame ha annunciato le date del suo tour 2023, che la vedrà esibirsi in tutta Italia per presentare dal vivo i suoi brani. Il tour partirà il 10 marzo da Torino e toccherà le principali città italiane, tra cui Milano, Roma, Napoli, Bologna e Firenze. L’ultima data prevista è il 30 aprile a Padova. I biglietti sono disponibili sul sito ufficiale di Madame e sui circuiti autorizzati.

Madame è una delle artiste più interessanti e originali del panorama musicale italiano. Con la sua voce, il suo stile e le sue parole ha conquistato il pubblico di tutte le età e ha dimostrato di avere talento e personalità. Non resta che seguirla nel suo tour 2023 per scoprire dal vivo la sua musica e la sua energia.

Madonna, la regina del pop è tornata a casa dopo il ricovero: come sta ora?

Madonna, la regina del pop, è tornata a casa dopo aver trascorso alcuni giorni in terapia intensiva per una grave infezione batterica. La cantante, che si stava preparando per il suo Celebration Tour, ha perso i sensi ed è stata intubata sabato 24 giugno. Come sta ora la star?

Secondo il suo manager, Guy Oseary, Madonna è sulla strada del pieno recupero e non è più intubata. La cantante è stata dimessa il 28 giugno e ora si trova nella sua casa di New York, assistita dalla figlia Lourdes. Oseary ha scritto su Instagram che l’artista ha sviluppato un’infezione batterica a causa dello stress e delle prove intense per il tour, che sarebbero durate 12 ore al giorno. Il post è stato poi rimosso.

Il Celebration Tour, che doveva partire il 15 luglio da Vancouver e passare anche per l’Italia il 23 novembre al Mediolanum Forum di Milano, è stato posticipato. Il sito TMZ riporta che Madonna non vorrebbe abbandonare i suoi fan e sarebbe decisa a riprendere il tour non appena possibile, nonostante il parere contrario dei medici e dei familiari che le consigliano di riposarsi e rimettersi in forma.

I medici intervistati dal DailyMail.com sostengono che la cantante appariva sfinita, magra ed esausta prima del ricovero e che potrebbe aver avuto un caso di sepsi, una risposta infiammatoria eccessiva che danneggia tessuti e organi.

I fan di Madonna sono in allerta per le sue condizioni di salute e le augurano una pronta guarigione. La popstar ha ringraziato i suoi sostenitori con un post su Instagram in cui appare sorridente e serena. “The Calm Before The Storm”, ha scritto, lasciando intendere che presto tornerà sul palco.

Foto: David Shankbone