Bing vs Google: un confronto tra i due motori di ricerca più usati

di Sergio Amodei

I motori di ricerca sono strumenti indispensabili per navigare sul web e trovare le informazioni che cerchiamo. Tra i tanti disponibili, i due più popolari sono Bing e Google, che si contendono il mercato con caratteristiche e funzionalità diverse. Ma quali sono le differenze tra i due giganti della ricerca online? E come scegliere quello più adatto alle nostre esigenze?

Bing è il motore di ricerca di Microsoft, lanciato nel 2009 come successore di MSN Search e Live Search. Bing si propone come un motore di ricerca intelligente, capace di fornire risposte dirette alle domande degli utenti, senza dover cliccare su altri siti. Bing offre anche una serie di servizi integrati, come la traduzione, la mappa, le immagini, i video, le notizie, lo shopping e molto altro. Bing si distingue per la sua interfaccia grafica, che cambia ogni giorno con immagini suggestive e curiose, e per la sua integrazione con Cortana, l’assistente virtuale di Microsoft.

Google è il motore di ricerca più usato al mondo, nato nel 1998 come progetto universitario dei due fondatori Larry Page e Sergey Brin. Google si basa su un algoritmo complesso e in continua evoluzione, che ordina i risultati in base alla rilevanza e alla popolarità dei siti. Google offre anche una vasta gamma di servizi collegati, come Gmail, Google Maps, Google Translate, Google Images, Google News, Google Shopping e molti altri. Google si caratterizza per la sua semplicità e velocità, con una pagina iniziale minimalista e una barra di ricerca efficace. Google si integra anche con Google Assistant, l’assistente virtuale di Google.

Le differenze tra Bing e Google si possono notare sia a livello di qualità dei risultati che di esperienza utente. In generale, Google ha un vantaggio in termini di quantità e varietà di informazioni disponibili, grazie alla sua maggiore diffusione e al suo maggiore investimento in ricerca e sviluppo. Tuttavia, Bing può offrire alcune funzionalità interessanti e originali, come la possibilità di confrontare due siti web o due prodotti direttamente dalla pagina dei risultati, o la funzione Visual Search, che permette di cercare tramite immagini. Inoltre, Bing può essere preferito da chi usa i prodotti Microsoft, come Windows o Office, per una maggiore compatibilità e sincronizzazione.

In conclusione, non esiste una risposta definitiva su quale sia il motore di ricerca migliore tra Bing e Google. Entrambi hanno dei pro e dei contro, e la scelta dipende dalle preferenze personali e dalle abitudini di navigazione di ciascun utente. L’ideale sarebbe provare entrambi e confrontarli in base alle proprie esigenze specifiche.

Foto: Karolina Grabowska

Intelligenza artificiale anche su WhatsApp: le novità in arrivo

di Sergio Amodei

WhatsApp, il popolare servizio di messaggistica di Meta, sta per introdurre alcune novità legate all’intelligenza artificiale (IA). Si tratta di funzioni che sfruttano la cosiddetta IA generativa, ovvero la capacità di creare contenuti originali a partire da parole chiave o immagini inserite dagli utenti. Vediamo quali sono le nuove funzioni e come potranno cambiare il modo di comunicare su WhatsApp.

Adesivi IA: creare sticker personalizzati con l’IA
La prima novità riguarda gli adesivi, ovvero le immagini animate che si possono inviare nelle chat. Con la funzione Adesivi IA, gli utenti potranno generare sticker personalizzati semplicemente digitando le parole chiave che descrivono lo sticker desiderato. Per esempio, se si scrive “gatto felice”, l’IA creerà uno sticker con un gatto sorridente. La funzione sarà accessibile dal pannello degli adesivi, con un’apposita icona.

Chat IA: conversare con personaggi virtuali creati dall’IA
La seconda novità riguarda le chat, ovvero le conversazioni testuali che si possono avere con altri utenti. Con la funzione Chat IA, gli utenti potranno conversare con personaggi virtuali creati dall’IA, che avranno una personalità e un’area di interesse specifica. Per esempio, si potrà chiedere informazioni su un argomento, ricevere consigli o semplicemente fare due chiacchiere. I personaggi virtuali saranno disponibili in una sezione dedicata dell’app.

Generazione di immagini fotorealistiche: creare immagini realistiche con l’IA
La terza novità riguarda le immagini, ovvero le foto o i disegni che si possono inviare nelle chat. Con la funzione Generazione di immagini fotorealistiche, gli utenti potranno creare immagini realistiche a partire da un prompt testuale o da un’immagine esistente. Per esempio, se si scrive “un paesaggio innevato”, l’IA genererà un’immagine di un paesaggio innevato. Se invece si carica un’immagine di una persona, l’IA potrà modificarne l’aspetto o lo sfondo.

Quando arriveranno le novità?
Le nuove funzioni legate all’intelligenza artificiale sono già in fase di test per un gruppo ristretto di utenti. Meta ha annunciato che procederà a un rilascio graduale al pubblico nelle prossime settimane. Al momento, le funzioni saranno disponibili solo in lingua inglese, ma si prevede che verranno aggiunte altre lingue in futuro.

Quali sono i vantaggi e i rischi dell’intelligenza artificiale su WhatsApp?
L’introduzione dell’intelligenza artificiale su WhatsApp ha lo scopo di rendere il servizio di messaggistica più creativo e produttivo per gli utenti. Le nuove funzioni potranno infatti offrire maggiori possibilità di espressione, divertimento e apprendimento. Inoltre, l’intelligenza artificiale potrà anche aiutare a filtrare i messaggi e i contenuti indesiderati e a proteggere gli account degli utenti.

Tuttavia, l’intelligenza artificiale presenta anche dei rischi e delle sfide. Innanzitutto, c’è il problema della qualità e dell’affidabilità dei contenuti generati dall’IA, che potrebbero essere errati, inappropriati o fuorvianti. Inoltre, c’è il rischio che l’IA possa violare la privacy e i diritti degli utenti, ad esempio usando i loro dati senza il loro consenso o creando immagini false o compromettenti. Infine, c’è il pericolo che l’IA possa sostituire o influenzare negativamente le relazioni umane, riducendo l’autenticità e l’empatia delle comunicazioni.

Foto: Anton

Elon Musk cerca volontari per testare i chip cerebrali

di Sergio Amodei

Elon Musk, imprenditore e fondatore di Tesla e SpaceX, ha annunciato che la sua start-up Neuralink ha avviato la sperimentazione umana di chip cerebrali. Gli impianti, che sono piccoli e flessibili, vengono impiantati nel cervello attraverso un foro di 2 millimetri e sono progettati per migliorare la comunicazione tra il cervello e i computer.

Lo studio, che si chiama “Prime”, coinvolgerà un piccolo gruppo di volontari che hanno almeno 23 anni e non hanno malattie neurologiche o psichiatriche. I volontari saranno sottoposti a una procedura chirurgica per impiantare il chip nel cervello.

Lo studio durerà 18 mesi e si concentrerà su due aree principali:

  • La capacità di controllare i dispositivi esterni con il pensiero
  • La capacità di migliorare la funzione motoria nelle persone con lesioni spinali

I volontari che saranno selezionati riceveranno un compenso di 10.000 dollari per partecipare allo studio.

Musk ha affermato che gli impianti Neuralink hanno il potenziale di rivoluzionare il modo in cui interagiamo con il mondo. “Questa tecnologia potrebbe consentire alle persone con disabilità di recuperare la mobilità e la capacità di comunicare”, ha detto.

L’annuncio di Musk ha suscitato reazioni contrastanti. Alcuni esperti hanno espresso preoccupazione per i potenziali rischi associati all’impianto di microchip nel cervello, come l’infezione o il malfunzionamento dell’impianto.

I pro e i contro dei chip cerebrali Neuralink

I chip cerebrali Neuralink hanno il potenziale di offrire una serie di benefici, tra cui:

  • Miglioramento della comunicazione tra il cervello e i computer
  • Recupero della mobilità e della capacità di comunicare nelle persone con disabilità
  • Nuove possibilità di trattamento per le malattie neurologiche

Tuttavia, ci sono anche alcuni potenziali rischi associati a questa tecnologia, tra cui:

  • Infezione
  • Malfunzionamento dell’impianto
  • Problemi di privacy

È importante che i potenziali volontari per lo studio Neuralink siano consapevoli di questi rischi prima di prendere una decisione.

Conclusione

Lo studio Neuralink è un passo importante nello sviluppo della tecnologia dei chip cerebrali. I risultati dello studio potrebbero avere un impatto significativo sulla vita delle persone con disabilità e aprire nuove possibilità per il trattamento delle malattie neurologiche.

Yann LeCun uno dei pionieri delle reti neurali profonde parla di I-Jepa una nuova tecnologia basata sull’intelligenza artificiale

di Sergio Amodei

i-jepa ovvero Image Joint for Embedding Predictive Architecture è una nuova tecnologia che promette di rivoluzionare il campo dell’Intelligenza Artificiale. Si tratta di un sistema che sfrutta le immagini per creare modelli predittivi di alta qualità, capaci di apprendere da soli e di adattarsi a scenari complessi e dinamici. Il suo ideatore è Yann LeCun, uno dei massimi esperti mondiali di IA e reti neurali.

Cos’è i-jepa e come funziona
Il principio alla base di i-jepa è semplice ma geniale: usare le immagini come fonte di informazione per costruire rappresentazioni astratte e semantiche del mondo. Le immagini, infatti, contengono una grande quantità di dati, che possono essere elaborati da algoritmi sofisticati per estrarre le caratteristiche salienti degli oggetti, delle scene e delle relazioni che vi sono rappresentate. Queste caratteristiche possono poi essere usate per creare dei modelli predittivi, che siano in grado di anticipare gli eventi futuri, di generare nuove immagini o di risolvere problemi complessi.

Per fare questo, i-jepa si basa su due componenti principali: un encoder e un decoder. L’encoder è una rete neurale convoluzionale, che prende in input un’immagine e la trasforma in un vettore di numeri, chiamato codice latente. Questo vettore rappresenta la sintesi delle informazioni contenute nell’immagine, ed è in grado di catturare le proprietà invarianti e generalizzabili degli elementi visivi. Il decoder è una rete neurale generativa, che prende in input il codice latente e lo trasforma in un’immagine di output, che può essere uguale o diversa da quella di input, a seconda dell’obiettivo da raggiungere.

Il punto di forza di i-jepa è che l’encoder e il decoder sono collegati da una rete neurale ricorrente, che permette al sistema di apprendere da sé le relazioni temporali tra le immagini. In questo modo, il sistema può creare dei modelli dinamici, che tengano conto della storia passata e delle possibili evoluzioni future delle situazioni rappresentate. Questo rende i-jepa molto potente e versatile, in quanto può essere applicato a diversi domini e compiti, come la previsione del traffico, la generazione di scenari virtuali, la diagnosi medica o la creazione artistica.

Le origini e le prospettive di i-jepa
L’idea di usare le immagini per creare modelli predittivi non è nuova, ma è stata portata a un livello superiore da Yann LeCun, che ne ha parlato recentemente in un’intervista rilasciata a Siena, dove ha ricevuto la laurea honoris causa dall’Università. LeCun è uno dei padri dell’Intelligenza Artificiale moderna, nonché uno dei vincitori del premio Turing 2018, insieme a Geoffrey Hinton e Joshua Benjo. I tre scienziati sono considerati i pionieri delle reti neurali profonde, quelle che hanno permesso all’IA di compiere passi da gigante negli ultimi anni.

LeCun ha dedicato gran parte della sua carriera allo studio delle reti neurali convoluzionali, che sono state ispirate dal funzionamento della corteccia visiva del cervello umano. Queste reti sono state usate con successo per il riconoscimento delle immagini, ma anche per altri compiti come il riconoscimento vocale, la traduzione automatica o il gioco degli scacchi. Tuttavia, LeCun ha sempre avuto l’ambizione di andare oltre la semplice classificazione o identificazione degli oggetti visivi, e di creare dei sistemi capaci di comprendere il significato profondo delle immagini e di usarlo per fare previsioni intelligenti.

Questo è il motivo che lo ha spinto a sviluppare i-jepa, che rappresenta il frutto della sua visione dell’Intelligenza Artificiale come una scienza della previsione. Per LeCun, infatti, l’IA non è solo una tecnica per manipolare i dati, ma una disciplina che mira a creare delle macchine che possano imitare il processo cognitivo degli esseri umani, basato sulla capacità di anticipare gli eventi e di adattarsi all’ambiente. In questo senso, i-jepa è un passo avanti verso la realizzazione di un’IA forte, quella che possa raggiungere o superare il livello di intelligenza umana.

Tuttavia, LeCun è anche consapevole dei rischi e delle sfide che comporta l’uso dell’IA, soprattutto in ambiti sensibili come la sicurezza, la privacy o l’etica. Per questo, egli sostiene la necessità di una regolamentazione e di una supervisione umana dell’IA, nonché di una formazione adeguata dei giovani e dei professionisti che si occupano di questa materia. Inoltre, egli invita a non cadere nella trappola di considerare l’IA come una minaccia o una concorrenza per l’uomo, ma come uno strumento per ampliare le sue potenzialità e per migliorare la sua qualità di vita.

Foto: Jeremy Barande

Come fa Google Maps a rilevare il traffico in tempo reale?

di Sergio Amodei

Se vi siete mai chiesti come fa Google Maps a mostrare il traffico in tempo reale sulle strade, la risposta è semplice: grazie ai dati anonimi dei milioni di utenti che usano l’applicazione. In questo articolo vi spiegheremo come funziona questo sistema e quali sono i vantaggi per i guidatori e per le città.

Google Maps è una delle applicazioni più usate al mondo per la navigazione e la pianificazione dei viaggi. Oltre a fornire indicazioni stradali, mappe dettagliate e informazioni sui luoghi di interesse, Google Maps offre anche un servizio molto utile: la visualizzazione del traffico in tempo reale.

Questa funzione permette di vedere, attraverso una scala di colori, il livello di congestione sulle strade, sia principali che secondarie. In questo modo, gli utenti possono scegliere il percorso più veloce e meno trafficato, evitando code e ritardi.

Ma come fa Google Maps a sapere quanto traffico c’è su una determinata strada? La risposta sta nei dati anonimi che l’applicazione raccoglie dai dispositivi degli utenti che la usano. Ogni volta che qualcuno apre Google Maps sul proprio smartphone o tablet, invia automaticamente a Google informazioni sulla sua posizione, la sua velocità e la sua direzione. Questi dati sono aggregati e analizzati da algoritmi che calcolano il flusso del traffico in base al numero di dispositivi presenti su una strada e alla loro velocità media.

Google assicura che questi dati sono completamente anonimi e non permettono di identificare gli utenti individuali. Inoltre, gli utenti possono disattivare la condivisione della loro posizione nelle impostazioni dell’applicazione, se lo desiderano.

I vantaggi di questo sistema sono evidenti: gli utenti possono scegliere il percorso più conveniente in base al traffico, risparmiando tempo e carburante. Inoltre, Google Maps fornisce anche informazioni su eventuali incidenti, lavori in corso o deviazioni, grazie alla collaborazione con le autorità locali e con i report degli stessi utenti.

Ma non solo: i dati sul traffico raccolti da Google Maps possono anche essere utilizzati per migliorare la mobilità e la gestione del traffico nelle città. Infatti, Google mette a disposizione dei governi e delle organizzazioni pubbliche e private uno strumento chiamato Google Maps Platform, che permette di accedere ai dati storici e in tempo reale sul traffico e su altri aspetti della mobilità urbana.

Questo strumento può aiutare a pianificare interventi infrastrutturali, a ottimizzare i servizi di trasporto pubblico, a monitorare l’inquinamento atmosferico e acustico, a promuovere la mobilità sostenibile e a prevenire situazioni di emergenza.

Insomma, Google Maps non è solo una semplice applicazione di navigazione, ma un potente strumento di analisi e di supporto alle decisioni per migliorare la qualità della vita nelle città.

Foto: Luna Luna

Cos’è il dark web, cose da sapere

Ciao, oggi ti parlerò del Dark Web, una parte misteriosa e affascinante di Internet che nasconde molti segreti. Ti spiegherò cos’è il Dark Web, chi l’ha creato e altri dettagli interessanti. Sei pronto? Allora cominciamo!

Cos’è il Dark Web?
Il Dark Web è una parte di Internet che non puoi raggiungere con i normali browser come Google Chrome o Firefox. Per entrare nel Dark Web devi usare dei software speciali, come Tor, che ti permettono di navigare in modo anonimo. Il Dark Web è come un labirinto di siti web nascosti che hanno dei nomi strani, come .onion o .i2p. In questi siti puoi trovare di tutto: informazioni segrete, mercati neri, hacker, attivisti, giornalisti, criminali e molto altro.

Chi ha creato il Dark Web?
Il Dark Web è nato nel 1999 grazie a Ian Clarke, uno studente dell’università di Edimburgo. Clarke voleva creare una piattaforma online libera e senza censura, dove gli utenti potessero pubblicare qualsiasi tipo di contenuto senza essere tracciati o controllati. Così nacque Freenet, il primo software per accedere al Dark Web. In seguito, altri progetti simili si sono sviluppati, come Tor, I2P e Zeronet.


Il Dark Web è un luogo molto vario e complesso, dove si possono trovare sia cose positive che negative. Da un lato, il Dark Web offre la possibilità di proteggere la privacy, la libertà di espressione e i diritti umani di chi vive in paesi oppressivi o perseguitati. Molti giornalisti, dissidenti e whistleblower usano il Dark Web per diffondere notizie e documenti sensibili senza rischiare la vita. Anche alcune organizzazioni umanitarie e sociali usano il Dark Web per aiutare le persone in difficoltà.

Dall’altro lato, però, il Dark Web è anche il rifugio di molte attività illegali e immorali. Nel Dark Web si possono comprare e vendere droghe, armi, documenti falsi, dati personali rubati e persino servizi di omicidio o tortura. Il Dark Web ospita anche siti web che mostrano violenza, pedofilia, terrorismo e altre atrocità. Molti criminali usano il Dark Web per comunicare tra loro e organizzare i loro piani.

Il Dark Web è quindi un mondo a parte, dove si può trovare il meglio e il peggio dell’umanità. Entrare nel Dark Web non è illegale, ma bisogna essere molto cauti e consapevoli dei rischi che si corrono. Il Dark Web non è per tutti: se sei curioso di scoprirlo, devi essere preparato a vedere cose che potrebbero turbarti o metterti in pericolo.

Questo è tutto quello che volevo dirti sul Dark Web. Spero che questo articolo ti sia piaciuto e ti sia stato utile. Se hai domande o commenti, scrivimi pure. Grazie per avermi letto e alla prossima!

Foto: Mikhail Nilov

Obsolescenza programmata: è vero che gli elettrodomestici sono programmati per rompersi?

di Sergio Amodei

L’obsolescenza programmata è una pratica commerciale che consiste nel limitare artificialmente la durata di un prodotto, rendendolo inutilizzabile o obsoleto dopo un certo periodo di tempo. Lo scopo è quello di stimolare la domanda e le vendite di nuovi modelli, aumentando così i profitti delle aziende produttrici.

Questa strategia ha origini storiche: già nel 1924, il Cartello Phoebus, che riuniva i principali produttori di lampadine, stabilì di ridurre la vita media delle lampadine a 1000 ore, anche se erano in grado di durare molto di più. Negli anni Trenta, la DuPont indebolì la fibra di nylon per creare calze da donna meno resistenti. Negli anni Cinquanta, il designer Brooks Stevens coniò il termine “obsolescenza pianificata” per indicare l’arte di “stimolare nell’acquirente il desiderio di comprare qualcosa di appena un po’ più nuovo e un po’ prima di quanto sia necessario”.

Oggi, l’obsolescenza programmata è diffusa soprattutto nel settore dell’elettronica e dell’informatica, dove i prodotti diventano rapidamente superati dagli aggiornamenti software, dalle nuove applicazioni o dalle innovazioni tecnologiche. Alcuni esempi sono gli smartphone, i computer, le stampanti e gli elettrodomestici. Spesso, questi prodotti sono progettati in modo da rendere difficile o impossibile la riparazione, la sostituzione dei componenti o il riciclaggio.

L’obsolescenza programmata ha conseguenze negative sia per i consumatori che per l’ambiente. I consumatori sono costretti a spendere più soldi per acquistare nuovi prodotti e a rinunciare a quelli ancora funzionanti ma non più compatibili o supportati. L’ambiente subisce l’impatto della produzione e dello smaltimento di enormi quantità di rifiuti elettronici, che contengono sostanze tossiche e inquinanti.

Per contrastare l’obsolescenza programmata, sono state avviate diverse iniziative a livello europeo e nazionale. L’Unione Europea ha introdotto nel 2019 un nuovo regolamento che impone ai produttori di garantire la riparabilità e la riciclabilità dei loro prodotti, fornendo informazioni chiare sui materiali utilizzati, sulla disponibilità dei pezzi di ricambio e sulla durata della garanzia. Inoltre, ha promosso il concetto di economia circolare, basato sul riutilizzo, il recupero e il riciclo dei materiali.

Anche in Italia sono state adottate alcune misure per tutelare i consumatori e l’ambiente dall’obsolescenza programmata. Tra queste, la legge n. 221 del 2015 che prevede l’estensione della garanzia legale da due a quattro anni per i beni durevoli (come gli elettrodomestici) e l’introduzione del reato di obsolescenza programmata nel codice penale. Inoltre, sono state avviate campagne di sensibilizzazione e informazione sui diritti dei consumatori e sulle buone pratiche per ridurre i rifiuti elettronici.

L’obsolescenza programmata è un fenomeno complesso che richiede una presa di coscienza collettiva e una collaborazione tra tutti gli attori coinvolti: produttori, consumatori, istituzioni e associazioni. Solo così sarà possibile garantire una maggiore qualità dei prodotti, una maggiore tutela dei consumatori e una maggiore sostenibilità ambientale.

Leggere la mente con l’intelligenza artificiale: Il decodificatore semantico cambierà il modo di comunicare

di Sergio Amodei

Il decodificatore semantico è una tecnologia rivoluzionaria che promette di leggere il pensiero umano e tradurlo in testo. Si tratta di un sistema di intelligenza artificiale sviluppato da un team di ricercatori dell’Università del Texas, che sfrutta la risonanza magnetica funzionale (fMRI) e i modelli linguistici basati sui trasformatori .

Il sistema funziona in questo modo: il soggetto partecipa a una sessione di addestramento, in cui ascolta ore di podcast nello scanner fMRI. In questo modo, il decodificatore semantico impara a riconoscere i pattern di attività cerebrale associati ai diversi significati delle parole. Poi, il soggetto può scegliere di far decodificare i propri pensieri, semplicemente ascoltando una nuova storia o immaginando di raccontarne una. Il sistema è in grado di generare un flusso continuo di testo che riflette l’essenza di ciò che viene detto o pensato, anche se non in modo perfetto.

Il risultato è sorprendente: circa la metà delle volte, il testo prodotto dal decodificatore semantico corrisponde strettamente (e talvolta con precisione) ai significati previsti delle parole originali. Il sistema è anche in grado di descrivere accuratamente determinati eventi da video silenziosi, utilizzando solo l’attività cerebrale del soggetto.

Questa tecnologia potrebbe avere molte applicazioni, soprattutto per le persone che non sono in grado di comunicare verbalmente a causa di condizioni mediche o disabilità. Potrebbe anche offrire nuove opportunità di espressione e creatività, consentendo di scrivere direttamente con la mente. Tuttavia, ci sono anche dei rischi etici e sociali legati alla privacy e al consenso dei soggetti coinvolti. Per questo motivo, i ricercatori sottolineano che la decodifica funziona solo con partecipanti volontari e cooperativi, che hanno il controllo su ciò che vogliono far decodificare.

Attualmente, il decodificatore semantico non è pratico per l’uso al di fuori del laboratorio, a causa della sua dipendenza dalla macchina fMRI. Ma i ricercatori sperano che il loro lavoro possa essere trasferito ad altri sistemi di imaging cerebrale più portatili e meno costosi, come la spettroscopia funzionale nel vicino infrarosso (fNIRS).

Il decodificatore semantico è una sfida scientifica e tecnologica che apre nuovi orizzonti nella comprensione e nella comunicazione del linguaggio umano. È anche una finestra sul nostro mondo interiore, che ci invita a riflettere su ciò che pensiamo e su come lo pensiamo.

Foto: Sergio Amodei

Threads: il nuovo social che sfida Twitter tra poco arriverà anche in Italia

Se sei un appassionato di social media, probabilmente avrai sentito parlare di Threads, il nuovo social network lanciato da Meta, la società che possiede Instagram e Facebook. Threads è una piattaforma che permette di creare e condividere post brevi, chiamati thread, su vari argomenti di interesse. Puoi seguire le persone che ti piacciono, commentare i loro thread, mettere like e condividerli con i tuoi amici. Threads si propone come un’alternativa a Twitter, il famoso social dei cinguettii, che negli ultimi tempi ha subito diverse critiche per la sua gestione dei contenuti e delle fake news.

Ma quando sarà disponibile Threads in Italia? E come funziona esattamente? In questo articolo cercheremo di rispondere a queste domande e di darti qualche consiglio su come usare al meglio questo nuovo social.

Quando arriva Threads in Italia?

Threads è stato lanciato ufficialmente il 6 luglio 2023, ma solo in due paesi: Stati Uniti e Regno Unito. Gli altri paesi, tra cui l’Italia, dovranno aspettare ancora qualche settimana prima di poter accedere a Threads. Il motivo di questa scelta è legato alle diverse normative sulla privacy che regolano i social network nelle varie regioni del mondo. Meta sta infatti lavorando per adeguare Threads alle leggi dell’Unione Europea, che sono più severe di quelle inglesi e americane. In particolare, Threads dovrà garantire la protezione dei dati personali degli utenti, come la posizione, la salute, la cronologia e altre informazioni sensibili.

Non c’è ancora una data precisa per il lancio di Threads in Italia, ma si presume che avverrà entro la fine dell’estate. Nel frattempo, puoi visitare il sito ufficiale di Threads per scoprire di più sul social e per prenotare l’applicazione per il tuo smartphone. Threads è infatti disponibile solo tramite app per Android e iOS, almeno per ora. Meta ha infatti annunciato che presto sarà possibile accedere a Threads anche dal web, usando il browser del tuo computer. Inoltre, Threads introdurrà una funzione di ricerca simile a quella di Twitter, che ti permetterà di trovare facilmente i post che ti interessano usando delle parole chiave.

Come funziona Threads?

Threads è un social network basato sui thread, ovvero dei post brevi composti da un titolo e da un massimo di 280 caratteri. I thread possono essere scritti su qualsiasi argomento, da politica a sport, da musica a cinema, da scienza a arte. Puoi creare i tuoi thread usando l’applicazione di Threads o il sito web (quando sarà disponibile). Per scrivere un thread devi scegliere un titolo che riassuma il tuo argomento e poi scrivere il tuo messaggio nel campo apposito. Puoi anche aggiungere delle immagini, dei video o dei link per arricchire il tuo thread.

Una volta pubblicato il tuo thread, esso sarà visibile a tutti gli utenti di Threads. Puoi decidere se rendere il tuo profilo pubblico o privato, a seconda se vuoi che tutti possano vedere i tuoi thread o solo le persone che segui o che ti seguono. Puoi anche scegliere se abilitare o disabilitare i commenti sui tuoi thread, se vuoi interagire con gli altri utenti o meno.

Threads ti permette anche di seguire le persone che ti piacciono e di vedere i loro thread nella tua home page. Puoi mettere like ai thread che ti colpiscono, commentarli o condividerli con i tuoi amici tramite altre app. Puoi anche creare delle liste personalizzate per raggruppare le persone che segui in base ai tuoi interessi o alle tue preferenze. In questo modo, puoi filtrare i thread che vuoi vedere e rimanere aggiornato sui temi che ti appassionano.

Threads è un social network in continua evoluzione, che promette di offrire ai suoi utenti un’esperienza divertente, coinvolgente e stimolante. Se vuoi essere tra i primi a provare Threads in Italia, non perdere tempo e prenota subito l’applicazione sul sito ufficiale.

Web: un’analisi sul significato di “Browser”

di Sergio Amodei

Nel vasto panorama dell’informatica, il termine “browser” è una parola che risuona costantemente tra gli appassionati di tecnologia e i frequentatori del mondo virtuale. Ma cosa si cela realmente dietro questa enigmatica parola? In questo articolo, ci impegneremo a svelare il significato profondo di “browser” e a comprenderne l’importanza nella nostra esperienza di navigazione su Internet.

Cos’è un “Browser”?

Un “browser”, noto anche come navigatore web o semplicemente web browser, è un’applicazione software progettata per consentire agli utenti di accedere, visualizzare e interagire con i contenuti presenti su Internet. In altre parole, è il mezzo attraverso cui entriamo nel mondo della rete, consentendoci di visitare siti web, leggere notizie, guardare video e partecipare a varie attività online.

La Funzione Principale del Browser

Il cuore della funzione di un browser è rappresentato dal rendering delle pagine web. Quando digitiamo l’indirizzo di un sito o facciamo clic su un link ipertestuale, il browser avvia una richiesta al server in cui risiede il sito web, il quale risponde fornendo i dati necessari per visualizzare la pagina. Successivamente, il browser elabora questi dati e li presenta in modo coerente e comprensibile, mantenendo l’aspetto grafico originale della pagina. In questo modo, possiamo vedere testi, immagini, video e altri contenuti come se fossero un tutt’uno.

Le Principali Funzionalità di un Browser

Oltre al rendering delle pagine web, i moderni browser sono dotati di una vasta gamma di funzionalità per migliorare la nostra esperienza di navigazione:

  1. Navigazione a schede (Tabbed Browsing): I browser consentono di aprire più pagine web in schede separate all’interno della stessa finestra. Questo ci permette di passare rapidamente da una pagina all’altra senza dover aprire nuove finestre.
  2. Motori di Ricerca Integrati: I browser spesso includono barre di ricerca integrate, permettendoci di effettuare ricerche su Internet direttamente dalla barra degli indirizzi.
  3. Gestione dei Preferiti: I browser ci permettono di salvare i siti web preferiti all’interno di una lista accessibile con facilità.
  4. Privacy e Sicurezza: I browser implementano misure di sicurezza per proteggerci da minacce online, come il rilevamento di siti web potenzialmente dannosi e la possibilità di navigare in modalità privata, in cui la cronologia di navigazione non viene memorizzata.
  5. Supporto per Plug-in ed Estensioni: Molti browser consentono l’installazione di plug-in ed estensioni che aggiungono funzionalità personalizzate e migliorative.

I Browser più Popolari

Esistono diversi browser popolari, ognuno con le proprie caratteristiche distintive. Tra i più noti troviamo Google Chrome, Mozilla Firefox, Microsoft Edge, Safari e Opera. Ogni browser ha un’interfaccia unica, una serie di funzionalità specifiche e può essere più o meno adatto alle esigenze individuali dell’utente.

Conclusioni

Il “browser” è una delle invenzioni più significative dell’era digitale, consentendoci di navigare nel vasto universo di Internet con facilità e rapidità. È un elemento fondamentale della nostra esperienza online, ci permette di connetterci al mondo virtuale e di accedere a informazioni, intrattenimento e servizi in maniera intuitiva. Ogni giorno, milioni di persone in tutto il mondo affidano i loro “navigatori” web per esplorare le infinite possibilità del cyberspazio, rendendoli compagni essenziali nel nostro viaggio attraverso la rete globale.

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Foto: Firmbee.com