È più liberatorio credere nel destino o pensare che tutto dipenda solo da noi?

di Sergio Amodei

C’è un momento, nella vita di ciascuno di noi, in cui ci fermiamo a guardarci indietro e ci chiediamo: “Era tutto scritto oppure sono stato io a decidere ogni passo?” Forse davanti a un amore che sembrava inevitabile, a un incontro che ha cambiato tutto, o a un fallimento che ha aperto nuove porte. Da una parte c’è il fascino del destino, quell’idea che esista un filo invisibile che intreccia eventi, scelte, coincidenze e persone. Dall’altra, la vertigine della libertà assoluta: nulla è scritto, ogni cosa dipende da noi, e il futuro è una pagina bianca che attende solo il nostro inchiostro.

Ma tra queste due visioni opposte — “tutto è già deciso” e “tutto dipende solo da me” — quale è davvero più liberatoria? Per rispondere, dobbiamo scavare nella psicologia, nella filosofia e perfino nei meccanismi del nostro cervello.


Il fascino del destino: quando il caos ha un significato

Credere nel destino è, prima di tutto, un atto di fiducia. Significa immaginare che la nostra vita non sia una serie di eventi casuali, ma un percorso con un senso, anche quando non riusciamo a vederlo.
Quando diciamo “era destino” dopo un incontro speciale o una svolta inattesa, in realtà stiamo facendo qualcosa di profondamente umano: stiamo cercando di dare ordine al caos.

La psicologia evolutiva ci insegna che il nostro cervello è programmato per cercare schemi. Nei millenni in cui i nostri antenati vivevano in ambienti pieni di pericoli, riconoscere connessioni (anche quando non c’erano) era un vantaggio per la sopravvivenza. Oggi, questo stesso meccanismo ci porta a vedere “segnali” in coincidenze e sincronicità: il numero che si ripete, il messaggio ricevuto al momento giusto, l’incontro che arriva quando avevamo perso ogni speranza.

Il destino, in questo senso, è un balsamo per l’ansia. Ci libera dal peso dell’incertezza. Se qualcosa — Dio, l’universo, un disegno cosmico — guida i nostri passi, allora non dobbiamo controllare tutto. Possiamo respirare, accettare, lasciar andare. È rassicurante pensare che un fallimento, una perdita o una sofferenza abbiano una ragione nascosta, anche se al momento non la comprendiamo.


La trappola del destino: quando la libertà diventa un’illusione

Ma questa consolazione ha un prezzo. Se crediamo troppo nel destino, rischiamo di trasformare la vita in un copione già scritto.
Quante volte sentiamo frasi come “se deve succedere, succederà” o “era scritto che andasse così”? Queste parole possono diventare una scusa per restare fermi, per non rischiare, per non assumersi responsabilità.

Il filosofo Jean-Paul Sartre parlava di “mala fede”: quell’atteggiamento con cui l’essere umano rinuncia alla propria libertà per paura del peso che essa comporta. Dire che “era destino” significa, in fondo, evitare il dolore di scegliere e di sbagliare. È una fuga dalla libertà.

Dal punto di vista psicologico, questo atteggiamento può portare a una sensazione di impotenza appresa. Se crediamo che tutto sia già deciso, perché impegnarci per cambiare? Perché lottare per un amore, un lavoro, un sogno? La vita diventa un fiume che scorre, e noi semplici spettatori.


L’ebbrezza (e il peso) della libertà totale

All’estremo opposto c’è la filosofia dell’autodeterminazione. Niente destino, niente copioni: siamo noi, con le nostre scelte, a scrivere ogni capitolo della nostra vita.
Questa visione è affascinante perché ci restituisce un potere immenso. Significa che non siamo condannati dalla nascita, che il passato non è una catena, che possiamo reinventarci in ogni momento.

La psicologia motivazionale lo conferma: le persone che percepiscono di avere un forte locus of control interno — cioè la convinzione che i risultati dipendano dalle proprie azioni — tendono a essere più resilienti, più attive e più soddisfatte della loro vita.
Sapere che ogni scelta conta ci spinge a crescere, a imparare, a rischiare. Ci fa sentire protagonisti e non comparse.

Ma questa libertà assoluta non è priva di insidie. Se tutto dipende solo da noi, ogni fallimento diventa una colpa. Ogni errore pesa come una condanna. La società contemporanea, con la sua ossessione per la performance, alimenta questa pressione: “Se non hai successo, è perché non ti impegni abbastanza”.
Il risultato? Ansia, burnout, senso di inadeguatezza. In un mondo dove siamo teoricamente liberi di diventare “chiunque”, il rischio è sentirci costantemente in difetto.


Il cervello ama le storie, non gli assoluti

La verità, come spesso accade, potrebbe stare nel mezzo.
Il nostro cervello non ragiona bene in termini di assoluti: destino contro libertà, bianco contro nero. Ama invece le storie complesse, dove l’imprevisto convive con la scelta, dove il caso si intreccia con l’intenzione.

Pensiamo a quante decisioni prendiamo ogni giorno: molte sono frutto della nostra volontà, ma altre nascono da fattori fuori dal nostro controllo — la famiglia in cui siamo nati, le circostanze storiche, perfino il meteo di quel giorno. Ignorare l’influenza del caso è ingenuo; credere che tutto sia scritto è altrettanto limitante.

La filosofia di Spinoza ci offre una chiave interessante: per il pensatore olandese, libertà non significa “fare ciò che voglio”, ma comprendere le cause che mi muovono. Più conosciamo noi stessi, più diventiamo liberi, anche se non possiamo controllare ogni evento esterno.
In altre parole, la vera liberazione non sta nel credere solo nel destino o solo nella responsabilità, ma nel riconoscere che viviamo in un intreccio di entrambi.


Psicologia del sollievo: perché alterniamo le due credenze

Uno degli aspetti più affascinanti è che non restiamo sempre fedeli a una sola visione. Spesso alterniamo, quasi senza accorgercene.
Quando la vita ci sorride, tendiamo a credere nella nostra capacità di scelta: “Me lo sono meritato, ho lavorato per questo”. Quando arrivano dolore e imprevisti, ci rifugiamo nel destino: “Doveva andare così”.
È una strategia di regolazione emotiva. Ci prendiamo il merito del bello per nutrire l’autostima e attribuiamo al destino il brutto per non soccombere alla colpa.

Questa oscillazione, lungi dall’essere incoerente, è profondamente umana. Ci aiuta a rimanere in equilibrio tra l’orgoglio e l’umiltà, tra la fiducia in noi stessi e l’accettazione dei limiti.


Il segreto della vera libertà: una nuova definizione

Allora, cosa è più liberatorio? Credere nel destino o pensare che tutto dipenda solo da noi?
La risposta potrebbe essere: nessuno dei due, se presi da soli. La vera libertà non è scegliere un’estremità, ma integrare entrambe.

È liberatorio credere nel destino quando ci ricorda che non dobbiamo controllare tutto. Che possiamo lasciar andare ciò che non dipende da noi, accettare l’imprevisto, trovare senso anche nel dolore.
Ed è liberatorio credere nella responsabilità personale quando ci ricorda che possiamo cambiare, che le nostre azioni contano, che non siamo vittime passive delle circostanze.

In pratica, significa adottare una mentalità flessibile:

  • Agisci come se tutto dipendesse da te. Metti impegno, fai scelte consapevoli, rischia, crea.
  • Accetta come se tutto fosse destino. Quando qualcosa sfugge al tuo controllo, lascia che sia. Trova significato senza cercare colpe.

Questo equilibrio, che richiama la saggezza stoica, è forse la forma più profonda di libertà. Non è rassegnazione, né arroganza: è lucidità.


Come applicarlo nella vita di tutti i giorni

Per trasformare questa filosofia in pratica quotidiana, possiamo allenare alcune abitudini:

  1. Distinguere ciò che dipende da noi. Ogni mattina, chiediti: “Cosa posso realmente influenzare oggi?” Il resto lascialo andare.
  2. Accogliere l’imprevisto come parte della storia. Invece di vedere un ostacolo come una punizione, consideralo un capitolo necessario.
  3. Riscrivere il linguaggio interiore. Sostituisci frasi come “non posso farci nulla” con “non posso controllarlo, ma posso scegliere come reagire”.
  4. Celebrare le coincidenze senza esserne schiavi. Goditi i momenti che sembrano “scritti nelle stelle”, ma continua a fare la tua parte.

Queste pratiche non eliminano il mistero della vita, ma ci aiutano a danzare con esso.


Un messaggio per chi cerca risposte

In un mondo iperconnesso e competitivo, ci viene detto che dobbiamo essere sempre “padroni del nostro destino”. Ma il rischio è trasformare la libertà in un nuovo tipo di gabbia: quella della performance senza tregua.
Allo stesso tempo, rifugiarsi nell’idea che “tutto è scritto” può farci perdere occasioni irripetibili.

La verità è che siamo esseri narrativi. Abbiamo bisogno sia della libertà che del mistero, sia della volontà che della sorpresa. La vita è una co-creazione tra noi e qualcosa di più grande — chiamalo universo, caso, Dio, o semplicemente l’infinita rete di eventi che non possiamo prevedere.

Forse, allora, la domanda non è “destino o responsabilità?”, ma “come posso vivere danzando tra i due?”
E la risposta, paradossalmente, è che questa danza è già libertà.


Un invito a chi legge

La prossima volta che ti accadrà qualcosa di inatteso — un incontro, una perdita, un successo improvviso — prova a chiederti:
“Quanto di questo è frutto delle mie scelte? Quanto è un regalo del caso?”
Non cercare una percentuale precisa. Goditi la meraviglia di non poterlo sapere.
Perché forse la vera liberazione sta proprio qui: nel riconoscere che la vita è più grande di qualsiasi teoria, e che noi siamo sia autori che personaggi della nostra storia.



Credere nel destino ci libera dal controllo ossessivo. Credere nella responsabilità personale ci libera dalla rassegnazione. Il segreto è non scegliere, ma intrecciare.
Agisci come se dipendesse tutto da te, accetta come se fosse tutto scritto. In questa apparente contraddizione si nasconde la più grande forma di libertà: quella di vivere pienamente, senza più bisogno di scuse.

foto: Valentin Angel Fernandez 

La Legge dell’Ottava: perché tutto ciò che inizi rischia di spegnersi a metà (e come completarlo davvero)

di Sergio Amodei

C’è un momento preciso che tutti abbiamo vissuto almeno una volta nella vita.
Ti svegli al mattino carico di entusiasmo, pieno di buoni propositi. Decidi: “Da oggi cambio.” Forse vuoi smettere di fumare, iniziare ad allenarti, imparare una nuova lingua o avviare finalmente quel progetto che rimandi da anni. I primi giorni scorrono veloci, ti senti forte, quasi imbattibile.

Poi succede qualcosa.
Non è un evento drammatico, né una catastrofe. È più sottile: un calo di energia, una voce interiore che sussurra “domani…”. Una piccola deviazione che sembra innocua, ma che piano piano diventa abitudine. Senza neanche accorgertene, l’entusiasmo si spegne, la costanza evapora, il progetto si arena.

Questa scena non è una tua debolezza personale. Non è pigrizia, non è mancanza di forza di volontà.
È la Legge dell’Ottava che lavora in silenzio dentro di te.


La musica nascosta dell’universo

Pëtr Dem’janovič Ouspensky, nel suo libro Frammenti di un insegnamento sconosciuto, raccolse le intuizioni del maestro Gurdjieff e rivelò una verità sorprendente: nulla nell’universo procede in linea retta.

Noi immaginiamo la vita come una freccia che, una volta scoccata, va dritta verso il bersaglio. In realtà, ogni processo, grande o piccolo, segue la logica di una scala musicale.

La scala che conosciamo bene: Do-Re-Mi-Fa-Sol-La-Si-Do.

  • All’inizio, l’energia cresce senza ostacoli: Do, Re, Mi.
  • Poi arriva un punto critico, il salto tra Mi e Fa. Qui l’impulso si indebolisce. Serve una spinta esterna, altrimenti la direzione cambia.
  • Il processo continua, ma incontra un altro punto fragile: tra Si e Do. Qui l’ostacolo non può essere superato da fuori: serve uno sforzo cosciente interiore.

La regola è implacabile: ogni progetto, senza correzioni, devia.
L’universo intero obbedisce a questa legge: dalla crescita delle piante, alle rivoluzioni storiche, fino ai tuoi obiettivi personali.


Una storia che conosci già

Lascia che ti racconti una scena che potresti riconoscere.

Marco, 35 anni, decide di rimettersi in forma. Compra scarpe nuove, abbonamento in palestra e perfino un orologio smart per monitorare i progressi. La prima settimana vola: tre allenamenti su tre, energia alle stelle, selfie davanti allo specchio con i muscoli che iniziano a delinearsi.

Poi arriva la seconda settimana. Il lavoro si fa più pesante, un amico lo invita a cena, una sera piove. Salta un allenamento. Poi un altro. Si dice: “Recupero nel weekend.” Non recupera. Dopo un mese, l’abbonamento resta lì, inutilizzato.

Che cosa è successo?
È arrivato il Mi–Fa.

Quel punto inevitabile in cui l’energia iniziale non basta più. Senza un aiuto esterno – un personal trainer, un amico che lo trascina, un gruppo di sostegno – la linea si è spezzata.

Ecco perché milioni di persone comprano abbonamenti in palestra a gennaio… e a marzo le sale sono già vuote. Non è colpa loro: è la Legge dell’Ottava.


Gli “intervalli” che spezzano i nostri sogni

Questa legge rivela un dettaglio cruciale: ci sono due momenti inevitabili in ogni processo umano.

  1. Mi–Fa → il primo ostacolo. È come una curva nascosta sulla strada: se non correggi la direzione, esci di pista. Qui ti serve un aiuto dall’esterno: una disciplina, un supporto, qualcuno o qualcosa che ti spinga avanti.
  2. Si–Do → il secondo ostacolo. Questo è più sottile e più pericoloso. Sei già andato lontano, ma la stanchezza, la distrazione o l’illusione di “aver già fatto abbastanza” ti rallentano. Qui non basta nessun aiuto esterno: serve la tua coscienza. Solo ricordandoti di te stesso puoi fare il salto finale.

È come scalare una montagna: il primo tratto richiede l’appoggio della corda e dei compagni, ma l’ultimo passo verso la vetta dipende solo da te.


Storie di Mi–Fa e Si–Do

Per capire quanto questa legge sia universale, guarda queste storie.

1. La startup che si ferma a metà

Un gruppo di giovani lancia una startup tecnologica. All’inizio entusiasmo alle stelle: brainstorming, prototipi, notti insonni. Do-Re-Mi.
Poi, al Mi–Fa, arrivano le prime difficoltà: soldi che finiscono, clienti che non arrivano. Qui servirebbe un investitore o un mentore. Senza quel sostegno, la startup devia, diventa un progetto secondario… e lentamente muore.

2. La relazione che non supera la prima crisi

All’inizio c’è passione, adrenalina, tutto sembra perfetto. Do-Re-Mi.
Poi arriva il primo Mi–Fa: incomprensioni, routine, prime discussioni. Se la coppia non introduce nuova energia (comunicazione, progetti comuni, consapevolezza), la relazione devia. Si spegne, o peggio, diventa una convivenza svuotata.

3. L’atleta che cade a un passo dalla gloria

Un maratoneta corre con disciplina per mesi. Supera il Mi–Fa con allenatori e sostegni. Arriva alla gara. È al 40° chilometro. Manca poco. Ma qui entra il Si–Do: le gambe bruciano, la mente urla di fermarsi. È l’attimo decisivo: se trova dentro di sé la scintilla, supera il muro. Altrimenti, si ferma a pochi metri dal traguardo.


Il punto cieco della mente

Ecco la trappola: la nostra mente non vede questi intervalli.

Noi crediamo che basta “volontà” per portare a termine un progetto. Ma la verità è che la volontà da sola non basta, perché l’energia cala in modo naturale e prevedibile.

Così ci colpevolizziamo:

  • “Non sono costante.”
  • “Non ho abbastanza motivazione.”
  • “Forse non è destino.”

La realtà è molto diversa: è la legge che opera su di te. E se la conosci, puoi usarla a tuo favore.


Come usare la Legge dell’Ottava a tuo vantaggio

Ora arriva la parte più interessante: questa legge non è un destino inesorabile. È una mappa. Ti dice dove ti perderai… e quindi come evitare la caduta.

Al Mi–Fa → cerca rinforzi esterni

Quando inizi un progetto, prepara già in anticipo il tuo “piano B”.

  • Vuoi iniziare a correre? Trova un compagno di allenamento.
  • Vuoi studiare una lingua? Iscriviti a un corso a pagamento: i soldi spesi sono un rinforzo esterno.
  • Vuoi meditare? Unisciti a un gruppo.

Il Mi–Fa si supera con sostegni che vengono dall’esterno, perché lì la tua energia naturale non basta più.

Al Si–Do → attiva la coscienza

Qui nessuno può aiutarti. È la prova finale.

  • Ricorda il perché profondo del tuo viaggio.
  • Usa rituali quotidiani che ti riportano alla consapevolezza (scrivere un diario, meditare, visualizzare il traguardo).
  • Fermati e “ricordati di te stesso”, come diceva Gurdjieff.

Il Si–Do è il punto in cui ti giochi la differenza tra vivere come tutti, fermandoti sempre a un passo dal traguardo, o trasformarti in qualcuno che compie davvero ciò che inizia.


Il potere degli “shock addizionali”

Gurdjieff chiamava le correzioni necessarie “shock addizionali”. Sono quelle spinte coscienti che introduciamo nei momenti critici per non deviare.

Un esempio pratico?

  • Una persona vuole scrivere un libro. Al Mi–Fa, quando l’entusiasmo iniziale crolla, decide di pubblicare ogni settimana un capitolo sul suo blog: così il pubblico diventa il suo rinforzo esterno.
  • Al Si–Do, quando il libro è quasi finito ma la stanchezza si fa sentire, torna al motivo profondo: “Scrivo per lasciare qualcosa di immortale.” Questo ricordo lo spinge a completare l’opera.

Gli shock addizionali sono come accelerazioni consapevoli che impediscono alla macchina della vita di deragliare.


Perché quasi tutti falliscono (e pochi completano)

Se osservi il mondo con questa lente, capirai perché:

  • La maggior parte delle persone inizia mille cose e ne finisce pochissime.
  • Molti movimenti politici o religiosi partono puri e si corrompono lungo la strada.
  • I progetti creativi restano incompiuti in un cassetto.

Il fallimento non dipende dalla bontà dell’idea o dal talento della persona, ma dalla mancata gestione degli intervalli.

Chi conosce la legge e impara a introdurre shock coscienti, diventa parte di quella minoranza capace di compiere. E questa è una differenza enorme: tra chi lascia tracce e chi lascia solo intenzioni.


Una metafora potente: il fiume e le dighe

Immagina un fiume che scorre. All’inizio l’acqua è forte, limpida, travolgente. Poi incontra una diga. Se nessuno apre i canali, l’acqua non passa: devia, si disperde in mille rivoli.

Così sono i nostri progetti: iniziano come fiumi impetuosi, ma si infrangono contro gli intervalli. Solo con gli “shock addizionali” apriamo i canali giusti, e il fiume raggiunge il mare.


Un esercizio pratico per te

La prossima volta che inizi qualcosa, fermati un attimo e chiediti:

  1. Dove sarà il mio Mi–Fa?
  2. Quale sostegno esterno posso preparare per superarlo?
  3. Dove sarà il mio Si–Do?
  4. Quale rituale di coscienza userò per ricordarmi di me stesso e andare oltre?

Scrivi le risposte. Preparati prima.
Così, quando arriveranno gli intervalli (perché arriveranno sempre), non ti sorprenderanno.


La vita come un’ottava

La Legge dell’Ottava ci ricorda una verità essenziale:
La vita non è una linea retta, ma una scala musicale.
Ogni progetto, ogni relazione, ogni crescita segue questa musica nascosta.

Chi ignora la legge si condanna a iniziare mille cose e a non finirne nessuna.
Chi la conosce, invece, ha in mano la chiave per portare a termine ciò che per gli altri rimane incompiuto.

La differenza non è il talento. Non è la fortuna. È la coscienza.

La prossima volta che la tua energia cala, non dirti che non sei capace. Ricorda: sei arrivato a un intervallo.
E se avrai la forza di introdurre lo shock giusto – esterno al Mi–Fa, interiore al Si–Do – allora diventerai uno di quelli che compiono.


🔑 Domanda finale per te:
Qual è quel progetto che hai lasciato a metà e che, se oggi decidessi di affrontare i due intervalli, potresti finalmente completare e trasformare in realtà?

Foto: Monstera Production 

Stoicismo pratico: vivere in armonia con ciò che possiamo e non possiamo controllare

di Sergio Amodei

Il fascino dello stoicismo risiede nella sua semplicità filosofica e nella sua applicabilità pratica. Uno dei suoi principi cardine, e forse il più influente, è la distinzione tra ciò che possiamo controllare e ciò che non possiamo controllare. Questa dualità, apparentemente semplice, nasconde una profondità di saggezza che ha guidato individui per millenni, offrendo una via per vivere con serenità e virtù.

Il contesto storico e filosofico

Lo stoicismo nacque ad Atene nel III secolo a.C., fondato da Zenone di Cizio. La scuola stoica si sviluppò attraverso numerosi filosofi, tra cui Cleante, Crisippo e, più tardi, in epoca romana, Epitteto, Seneca e Marco Aurelio. Questi pensatori costruirono una filosofia basata sull’etica, la logica e la fisica, ma è l’etica, e in particolare la gestione delle emozioni e delle reazioni umane, che ha avuto un impatto duraturo.

Il principio della distinzione tra ciò che possiamo controllare e ciò che non possiamo è centrale nella “Dichiarazione di Epitteto”, presente nei suoi “Discorsi” e nel “Manuale” (Enchiridion). Epitteto, uno schiavo liberato diventato filosofo, affermava:

“Tra le cose che esistono, alcune dipendono da noi, altre no. Dipendono da noi il giudizio, l’impulso a volere, il desiderio, l’avversione e, insomma, tutto quello che è opera nostra; non dipendono da noi il corpo, i beni, la reputazione, le cariche pubbliche, e, insomma, tutto ciò che non è opera nostra.”

La natura del controllo

Secondo lo stoicismo, possiamo controllare solo le nostre azioni, pensieri e atteggiamenti. Questi sono gli aspetti interni della nostra esistenza, i quali dipendono unicamente dalla nostra volontà e decisione. Al contrario, tutto ciò che è esterno – le circostanze della vita, le azioni degli altri, il nostro corpo, la nostra reputazione e gli eventi naturali – è al di fuori del nostro controllo.

L’Interno: il dominio della volontà

Gli stoici enfatizzano il potere della volontà e del giudizio come strumenti per raggiungere la tranquillità. Il nostro controllo interno è il terreno su cui possiamo esercitare la virtù. La ragione e la saggezza ci guidano a rispondere agli eventi esterni con calma e discernimento. In questo modo, possiamo mantenere la nostra integrità e il nostro equilibrio emotivo, indipendentemente dalle circostanze esterne.

Ad esempio, un evento spiacevole come la perdita del lavoro può essere affrontato con serenità stoica se ci concentriamo su ciò che possiamo controllare: la nostra reazione. Possiamo decidere di cercare nuove opportunità, di migliorare le nostre competenze o di vedere la situazione come un’opportunità per crescere. Questa capacità di risposta è al centro della pratica stoica.

L’Esterno: accettazione e indifferenza

Gli stoici insegnano l’accettazione degli eventi che non possiamo controllare, promuovendo un atteggiamento di indifferenza verso di essi. Questa non è indifferenza nel senso comune del termine, ma un riconoscimento che non possiamo cambiare la realtà esterna, solo la nostra percezione e reazione ad essa. Accettare gli eventi esterni con equanimità è essenziale per vivere in armonia con la natura.

Marco Aurelio, imperatore e filosofo stoico, scrisse nei suoi “Pensieri”:

“La felicità della tua vita dipende dalla qualità dei tuoi pensieri: perciò custodiscili con cura e stai attento a non intrattenerti in nozioni inadeguate alla virtù e alla natura.”

La pratica della distinzione

Mettere in pratica la distinzione stoica richiede consapevolezza e disciplina. Ecco alcuni passaggi chiave per integrare questo principio nella vita quotidiana:

1. Consapevolezza e riflessione

La prima fase è diventare consapevoli delle nostre reazioni automatiche agli eventi esterni. Questo richiede una riflessione costante e una pratica di auto-osservazione. Possiamo usare tecniche come la meditazione, il journaling o semplici momenti di pausa per analizzare come reagiamo e cosa possiamo effettivamente controllare in ogni situazione.

2. Dichiarazioni di intento

Gli stoici spesso usavano dichiarazioni di intento per rafforzare la loro determinazione a mantenere il controllo interno. Frasi come “Mi concentrerò solo su ciò che posso controllare” possono aiutare a ricordare la distinzione fondamentale durante momenti di stress o conflitto.

3. Disciplina emotiva

L’autodisciplina è essenziale per praticare la distinzione stoica. Questo non significa reprimere le emozioni, ma piuttosto riconoscerle e gestirle con saggezza. Possiamo allenare la nostra mente a rispondere agli eventi con calma e ragione, piuttosto che con reazioni impulsive.

4. Accettazione attiva

Accettare ciò che non possiamo controllare non significa passività. È un’accettazione attiva, una scelta consapevole di non permettere agli eventi esterni di disturbare la nostra pace interiore. Possiamo ancora agire per migliorare le nostre circostanze, ma senza attaccarci al risultato.

Applicazioni moderne

La distinzione tra ciò che possiamo e non possiamo controllare è applicabile in molte aree della vita moderna. Nel lavoro, nelle relazioni personali, nella salute e nel benessere, questa filosofia offre un approccio pragmatico per affrontare le sfide quotidiane.

Stress e ansia

Lo stress e l’ansia sono spesso causati da preoccupazioni per eventi al di fuori del nostro controllo. Adottare la prospettiva stoica può ridurre significativamente questi sentimenti. Concentrarsi su ciò che possiamo fare – come migliorare le nostre competenze o gestire meglio il nostro tempo – e accettare ciò che non possiamo cambiare – come l’opinione degli altri o gli imprevisti – può portare a una vita più serena.

Relazioni interpersonali

Nelle relazioni, la distinzione stoica ci insegna a concentrarci su come trattiamo gli altri e a non cercare di controllare le loro reazioni o comportamenti. Possiamo essere onesti, gentili e rispettosi, ma dobbiamo accettare che le risposte degli altri non sono sotto il nostro controllo. Questo può prevenire conflitti inutili e migliorare la qualità delle nostre interazioni.

Salute e benessere

Anche nella salute, lo stoicismo offre una prospettiva equilibrata. Possiamo controllare le nostre abitudini – come mangiare sano, fare esercizio fisico e dormire a sufficienza – ma dobbiamo accettare che alcune condizioni di salute possono essere fuori dal nostro controllo. Questa accettazione può ridurre la frustrazione e aiutarci a concentrarci su ciò che possiamo fare per migliorare la nostra situazione.

La saggezza della serenità

L’essenza della distinzione stoica è la serenità che deriva dal sapere dove risiede il nostro potere. Questo principio ci insegna che, sebbene il mondo esterno sia imprevedibile e spesso fuori dal nostro controllo, abbiamo sempre il controllo della nostra mente e delle nostre reazioni. Questo riconoscimento è liberatorio e ci permette di vivere con maggiore pace e dignità.

Conclusione

Il principio stoico della distinzione tra ciò che possiamo controllare e ciò che non possiamo è una guida pratica e filosofica per la vita quotidiana. Insegna la saggezza dell’accettazione e il potere del controllo interno, offrendo una strada verso la tranquillità in un mondo spesso caotico e imprevedibile. Seguendo questa distinzione, possiamo coltivare una mente calma e un cuore sereno, vivendo con virtù e saggezza in armonia con la natura.

Questo approccio non è solo teorico, ma richiede una pratica costante e una riflessione continua. In un’epoca di incertezze e cambiamenti rapidi, il messaggio degli stoici risuona con forza, offrendoci gli strumenti per navigare la vita con grazia e resilienza.

Foto: David Besh

Cos’è il nichilismo

di Sergio Amodei

Il nichilismo è un concetto filosofico che ha affascinato e preoccupato pensatori, scrittori e filosofi per secoli. Questa corrente di pensiero, che afferma che la vita sia priva di significato intrinseco, ha suscitato dibattiti e riflessioni su questioni fondamentali riguardanti l’esistenza umana, la moralità e la ricerca del senso nella vita. Origini del Nichilismo

Il termine “nichilismo” deriva dal latino “nihil,” che significa “nulla” o “niente.” Questa idea filosofica è emersa nel XIX secolo, in particolare con il pensiero di filosofi come Friedrich Nietzsche e Arthur Schopenhauer. Nietzsche è spesso considerato uno dei principali teorici del nichilismo, anche se lui stesso lo ha criticato aspramente. Secondo Nietzsche, il nichilismo rappresenta il rifiuto del valore, della verità e della moralità tradizionali, portando alla conclusione che la vita non ha alcun significato intrinseco.

Il Nichilismo Nella Filosofia di Nietzsche

Friedrich Nietzsche è noto per la sua critica radicale della morale tradizionale e della religione. Nel suo lavoro “Così parlò Zarathustra,” Nietzsche proclamò la famosa affermazione: “Dio è morto.” Questa frase rappresenta la sua convinzione che la religione abbia perso la sua influenza sulla società moderna e che l’assenza di Dio abbia aperto la strada al nichilismo. Secondo Nietzsche, senza un punto di riferimento divino, gli esseri umani sono condannati a confrontarsi con l’assurdità e l’insignificanza della vita.

Nietzsche non abbracciò completamente il nichilismo come una filosofia positiva. Al contrario, cercò di superare il nichilismo attraverso la creazione di nuovi valori e prospettive. Ha sviluppato il concetto di “superuomo,” un individuo in grado di creare i propri valori e di dare significato alla propria vita senza dipendere da norme o credenze tradizionali. Per Nietzsche, la chiave per superare il nichilismo era abbracciare la propria individualità e creatività.

Varianti del Nichilismo

Il nichilismo può assumere diverse forme e manifestarsi in vari contesti. Alcune delle principali varianti del nichilismo includono:

  1. Nichilismo Metafisico: Questa forma di nichilismo sostiene che non esista alcuna realtà oggettiva o verità assoluta. In altre parole, tutto ciò che conosciamo è soggettivo e privo di significato intrinseco.
  2. Nichilismo Etico: Questo tipo di nichilismo riguarda la moralità. Sostiene che non ci siano valori o principi morali oggettivi e che ogni valutazione etica sia relativa e priva di fondamento.
  3. Nichilismo Epistemologico: Questa variante sostiene che la conoscenza umana sia intrinsecamente limitata e che non sia possibile raggiungere una conoscenza assoluta o certa su qualsiasi argomento.
  4. Nichilismo Esistenziale: Questo approccio mette in discussione il senso stesso dell’esistenza umana. Sostiene che la vita non abbia uno scopo intrinseco e che ognuno debba trovare il proprio significato.

Le Implicazioni del Nichilismo

Il nichilismo solleva domande profonde sulla natura dell’esistenza e sulla ricerca di significato nella vita. Quando si abbraccia il nichilismo, si può sperimentare una sensazione di smarrimento e disorientamento. Senza un sistema di valori o un senso predefinito, la vita può sembrare vuota e senza scopo.

Tuttavia, molte persone vedono il nichilismo come una sfida e un’opportunità per esplorare la propria individualità e creatività. In un mondo privo di significato intrinseco, si apre la possibilità di creare il proprio significato e i propri valori. Questo può portare a una maggiore libertà individuale, ma richiede anche una profonda riflessione e autenticità.

Le Critiche al Nichilismo

Il nichilismo non è una filosofia senza critici. Molti sostengono che il nichilismo sia troppo pessimista e che non tenga conto dell’esperienza umana di significato e valore. Alcuni filosofi e teologi credono che esista un fondamento oggettivo per la moralità e la verità, anche senza una base religiosa.

Inoltre, il nichilismo può portare a una visione cinica del mondo, in cui ogni azione è vista come priva di significato e ogni valore è relativizzato. Questo può avere effetti negativi sulla motivazione e sull’impegno nella vita quotidiana.

Conclusioni

Il nichilismo è una corrente di pensiero filosofica profonda e complessa che solleva domande fondamentali sulla natura dell’esistenza umana e del significato, mentre alcune persone possono trovare il nichilismo deprimente o spaventoso, altri lo vedono come un’opportunità per abbracciare la propria individualità e cercare il significato nella creazione di nuovi valori.

Foto: Samantha Garrote