di Sergio Amodei
C’è chi arriva sempre dieci minuti prima, ordinato, con il tempo di prendersi un caffè, rilassarsi e perfino leggere un paio di messaggi sul telefono. E poi c’è l’altro tipo di persona: quella che entra trafelata, con il respiro corto, le scuse già pronte e lo sguardo un po’ colpevole. L’eterno ritardatario.
Ma la domanda è: perché alcune persone sembrano incapaci di arrivare puntuali, nonostante i rimproveri, i buoni propositi e persino i disagi che questo crea? È davvero solo questione di maleducazione, o c’è qualcosa di più profondo che spiega il mistero del ritardo cronico?
La scienza, la psicologia e perfino l’antropologia hanno molto da dire. E scoprire le ragioni di questo comportamento significa anche capire meglio la nostra mente, il nostro rapporto col tempo e, in fondo, la nostra stessa natura.
Il tempo non è uguale per tutti
La prima verità scomoda è questa: non tutti percepiamo il tempo nello stesso modo.
Uno studio condotto da Jeff Conte alla San Diego State University ha messo alla prova due gruppi di persone: individui con personalità di tipo A (più ansiosi, organizzati e orientati agli obiettivi) e individui di tipo B (più rilassati, creativi e flessibili).
Il risultato? Dopo un minuto reale, i soggetti di tipo A stimavano che fossero passati circa 58 secondi, mentre quelli di tipo B ne stimavano 77. In pratica, i più creativi e rilassati “vivono” un minuto più lungo.
👉 Ecco la prima spiegazione: per alcuni, il tempo scorre in modo diverso. Non è disattenzione, è una percezione alterata che influenza la loro capacità di organizzarsi.
La trappola dell’ottimismo (fallacia della pianificazione)
Ti sei mai detto: “In dieci minuti sono pronto”?
Poi, tra doccia, vestiti, chiavi smarrite e traffico, ne passano quaranta.
Questo fenomeno ha un nome preciso: planning fallacy, o fallacia della pianificazione, studiata da Daniel Kahneman e Amos Tversky. È la tendenza a sottostimare sistematicamente il tempo necessario per completare un compito.
I ritardatari cronici vivono intrappolati in questo ottimismo tossico. Credono davvero di poter fare tre commissioni, una telefonata e un cambio d’abito in mezz’ora. Peccato che il mondo reale funzioni con altre regole.
Personalità e puntualità: un legame invisibile
La ricerca psicologica conferma che la puntualità è strettamente legata a un tratto della personalità: la coscienziosità, uno dei Big Five.
- Chi ha alto livello di coscienziosità è organizzato, disciplinato e rispettoso delle scadenze.
- Chi ha basso livello di coscienziosità tende a essere più spontaneo, creativo e… perennemente in ritardo.
Non è un caso che i ritardatari cronici spesso si descrivano come “persone che vivono nel momento”. Una qualità che può sembrare affascinante, ma che diventa frustrante per chi li aspetta.
Il lato nascosto: ansia, controllo e bisogno di adrenalina
Non sempre il ritardo è innocente. A volte nasconde dinamiche psicologiche più complesse.
- Bisogno di adrenalina: alcuni funzionano meglio sotto pressione. Arrivare all’ultimo momento genera quella scarica di energia che li fa sentire vivi e produttivi.
- Bisogno di controllo: altri usano inconsciamente il ritardo come una forma di potere. “Faccio aspettare io” diventa un modo per stabilire gerarchie invisibili.
- Ansia sociale: ci sono persone che ritardano perché temono l’incontro stesso. Ogni minuto di attesa è un minuto in meno di esposizione al giudizio altrui.
Cultura e tempo: non è uguale a Milano e a Rio
La puntualità non ha lo stesso valore ovunque. L’antropologo Edward T. Hall ha introdotto due concetti fondamentali:
- Le culture monocroniche (Nord Europa, Stati Uniti, Giappone) considerano il tempo lineare e sacro. Un appuntamento alle 10 significa 10.
- Le culture policroniche (Mediterraneo, Sud America, Medio Oriente) vedono il tempo come flessibile. Un appuntamento alle 10 può tranquillamente iniziare alle 10:30.
👉 In Italia, lo sappiamo bene, il ritardo è più tollerato che in Germania o in Svizzera. E questo plasma anche i comportamenti individuali.
Il ritardo come sintomo
In alcuni casi, il ritardo cronico non è solo un’abitudine culturale o caratteriale, ma un sintomo di condizioni psicologiche o neurologiche:
- ADHD (disturbo da deficit di attenzione/iperattività): difficoltà a stimare il tempo e a organizzare le priorità.
- Disturbi d’ansia: il ritardo diventa un modo di rimandare situazioni stressanti.
- Depressione: mancanza di energia e motivazione che rallenta ogni azione.
Capire questo aiuta a distinguere tra chi “non ci pensa” e chi, invece, è realmente ostacolato da un disturbo.
Il costo nascosto del ritardo
Chi arriva sempre in ritardo spesso lo giustifica con un sorriso o una battuta. Ma le conseguenze non sono leggere:
- Professionali: il ritardo cronico mina la credibilità, blocca le carriere e genera conflitti sul lavoro.
- Relazionali: crea frustrazione, rabbia e incomprensioni. Non è raro che diventi un motivo di discussione nelle coppie.
- Personali: genera sensi di colpa e auto-svalutazione. Molti ritardatari cronici si odiano per la loro stessa abitudine.
Si può cambiare?
La buona notizia è che sì, il ritardo cronico si può correggere. Ma non basta “metterci più impegno”. Serve un vero e proprio cambio di mentalità.
Ecco alcune strategie efficaci:
- Calcola al rialzo: se pensi che ti servano 20 minuti, aggiungine 10. Sempre.
- Prepara in anticipo: vestiti, documenti, chiavi. Elimina il fattore imprevisto.
- Spegni l’ottimismo tossico: riconosci che sottovaluti i tempi e accetta la realtà.
- Premiati per la puntualità: trasforma la puntualità in una soddisfazione, non in un dovere.
- Usa la tecnologia: reminder, allarmi multipli, app di gestione del tempo.
Un diverso rapporto col tempo
Alla fine, parlare di ritardo significa parlare di qualcosa di più grande: il nostro rapporto col tempo.
Viviamo in un’epoca in cui il tempo è la risorsa più preziosa e più scarsa. Puntualità non significa solo rispetto per gli altri, ma anche per sé stessi.
Essere in ritardo cronico è come vivere costantemente in debito con il tempo, un debito che genera ansia, conflitti e frustrazione.
Eppure, allo stesso tempo, i ritardatari ci insegnano una lezione: non tutto nella vita può essere incasellato in orari e scadenze. C’è un valore anche nell’imprevedibilità, nella flessibilità, nell’arte di “vivere il momento”.
Un invito a riflettere
La prossima volta che qualcuno entrerà in ritardo al tuo appuntamento, chiediti:
- Sta sottovalutando i tempi?
- Ha una percezione del tempo diversa?
- È la cultura che lo ha abituato così?
- O forse c’è un bisogno psicologico più profondo?
Capire le radici del ritardo non significa giustificarlo, ma riconoscere che dietro a quei dieci minuti di attesa si nasconde una storia complessa fatta di psicologia, cultura e abitudini.
Forse, in fondo, i ritardatari non sono “maleducati” per natura. Sono solo viaggiatori in un fuso orario diverso dal nostro.

Foto: Will Oliveira
Grazie, molto
interessante mi hai costretto a fare i conti ( in senso buono) con i miei ritardi!
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